Il merito del volume di Ricci è però non solo nello sguardo analitico, ma nel punto di vista soggettivo che perciò include confutazioni ed obiezioni. Insomma, non è il consueto trattato di storia della filosofia politica che si limita alla classificazione di autori e dottrine. E Ricci non poteva fare altrimenti perché la nozione di Potere, pur essendo di antica formulazione, si materializza all’interno delle comunità delle singole fasi storiche e nel vivere associato mutando forma a seconda della geografia ed appunto dei tempi. Farne perciò una perlustrazione superficiale anche se cronologicamente completa non aveva senso visto che, in passato, i grandi autori della filosofia politica e della sociologia si sono dovuti confrontare con sfere pubbliche e ambientali diverse da quelle che percorrono la modernità.
Ecco perché Ricci si inoltra direttamente nel nostro tempo. Parte da Max Weber, vale a dire da colui il quale inizia a concepire i rapporti di potere in relazione a quello che consideriamo lo Stato moderno, fatto di divisione dei poteri, apparati amministrativi e burocratici, suddivisioni di tipo orizzontali e verticali. In una parola, quella particolare forma di Stato che si avvia a compiere la sua parabola nella complessità del mondo contemporaneo e a far mutare il concetto stesso di Potere.
Questo è il motivo di una ricognizione che Ricci fa tenendo la barra dritta su personali convinzioni, demolendo o adottando e facendo propri autori che possono apparire anche di ‘seconda fascia’: Guglielmo Ferrero e Morton Baratz ma anche, come dicevamo Weber, e poi Bertrand De Jouvenel, Bertrand Russell e Franco Ferrarotti, Robert Dahl e Foucault sono solo alcuni dei nomi.
Il suo modo di procedere desta interesse proprio per questo anatomizzare il tema del Potere partendo da visioni prospettiche diversificate e a prima vista non correlate. E così da ognuno di questi autori ne trae i versanti positivi ma ne evidenzia soprattutto i deficit. E lo fa con fermezza, come quando afferma che molte teorie sul Potere di questi ultimi decenni, appaiono ‘’confuse, caotiche e fin troppo parziali’’.
Ora è evidente che si può anche essere in disaccordo ma fronteggiare in maniera schietta presunti o reali deficit di giganti del pensiero è un atto di coraggio che apprezziamo. E soprattutto è azione consapevole il non attardarsi su concetti che definisce’derivativi’ quali la democrazia, la partecipazione elettorale, i sistemi di governo e così via, preferendo andare dritto al cuore del problema: il concetto di Potere, o meglio la natura del Potere nel Terzo millennio. E questo scendere in profondità nel nostro tempo senza attardarsi nella rivisitazione storica di antiche dottrine decrittando il tema dell’obbedienza, della sanzione, la nozione di legittimità, insomma leggere le teorie attraverso i fatti fondamentali e i rapporti ordinari ed esistenti, pone Ricci al riparo dai rischi di una ricerca confusamente accademica. Al contempo, offre la possibilità a lui, e di risulta ai lettori, di leggere da punti di vista particolari un concetto problematico e men che meno catalogabile in parametri definiti.
*Il Genio invisibile. Le teorie del potere del Novecento di Stefano Ricci (Circolo Proudhon, p. 176, euro 13)