Storia/1. L’imperatore Francesco Giuseppe nemico d’Italia rimpianto (anche) dagli italiani

A un secolo dalla morte dell’Imperatore d’Austria Ungheria, Francesco Giuseppe, nemico d’Italia rimpianto anche da italiani

L'imperatore Francesco Giuseppe
L’imperatore Francesco Giuseppe

Pochi personaggi sono stati più odiati da almeno tre generazioni d’italiani. Lui, Cecco Beppe, l’ “Imperatore degli impiccati”, per il patriota e massone Giosuè Carducci, il despota che voleva impedire la sacra unificazione d’Italia, il nemico del Risorgimento, di Garibaldi, di Mazzini, delle aspirazioni irredentiste, della libertà; lui, l’austriaco repressore, l’uomo della tirannide, che aveva fatto morire i nostri martiri Guglielmo Oberdan e Cesare Battisti, come la scuola pubblica insegnava agli scolari della Penisola, anche quando l’Italia era alleata della Germania e dell’Austria-Ungheria nella Triplice Alleanza, dal 1882 al 1915.
Il 21 novembre 1916 Francesco Giuseppe I d’Absburgo-Lorena – Imperatore d’Austria (1848-1916) e Re d’Ungheria (1867-1916), già sovrano semiassoluto e Re del Lombardo-Veneto fino al 1866 – moriva nella reggia viennese di Schönbrunn, dove era nato nel 1830, dopo 68 anni di Regno effettivo. Nonostante i rapporti di parentela con gli ascendenti del Re Vittorio Emanuele III, era un sentimento ricambiato. Non a torto, per la verità: “Il Re d’Italia mi ha dichiarato la guerra. Un tradimento di cui la storia non conosce l’uguale, è stato commesso dall’Italia ai danni dei suoi alleati”, si legge nel proclama imperiale del 23 maggio 1915, allorché, dopo la firma del patto di Londra, l’Italia dichiarò guerra alla Doppelmonarchie (e nel 1916 pure alla Germania).
Anche se per un periodo l’Italia di Mussolini era stata la potenza protettrice della Repubblica Austriaca, sorta dalle ceneri dell’Impero sconfitto, prima dell’annessione al Reich germanico del 1938, occorrerà aspettare gli anni ‘60 per una valutazione non aprioristicamente negativa dello Stato multinazionale degli Absburgo, Imperatori e Sovrani dal 1273 al 1918. Ciò si deve in parte (e proprio mentre infuriava il terrorismo altoatesino, che rivendicava l’annessione all’Austria della provincia di Bolzano) al saggio di Claudio Magris, Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna (Einaudi, 1963), rielaborazione della sua tesi di laurea. “La storia del mito absburgico è la storia di una cultura che vive la crisi e la trasformazione epocale di tutta una civiltà, non certo soltanto austriaca; una civiltà che, in nome del suo amore per l’ordine, scopre il disordine del mondo”, scrisse Magris. “Nel mito absburgico confluiscono molte componenti: l’idealizzazione dell’Impero come armonica entità sovranazionale e universalistica; il senso dell’ordine e della gerarchia; l’Imperatore Francesco Giuseppe, che di quell’ordine era simbolo e garante; una visione edonistica ed epicurea della vita, con epicentro Vienna”.
Francesco Giuseppe, si racconta, morì di polmonite il 21 novembre 1916, dopo la Comunione – si riteneva sul serio Sovrano per Grazia di Dio, che concedeva alla sua augusta Persona l’onere di governare i popoli del grande Impero – ed il disbrigo degli affari di Stato, la mattina, nello studio del sontuoso Palazzo dipinto di giallo. Si spense come una lampada che aveva consumato tutto l’olio e con lui uscì di scena l’idea stessa di un’epoca, di una Mitteleuropa pacifica, che credeva nel progresso e nei valori del positivismo. Aveva ricevuto il battesimo del fuoco nel 1848, sotto il Feldmaresciallo Radetzky, che aveva combattuto contro Napoleone, e fece in tempo a scrutare il volo dei primi aerei militari, oltre a vedere tutte le straordinarie invenzioni della II rivoluzione industriale.
“È accaduto infine l’inevitabile, che a lungo avevamo temuto”, fu scritto nell’annuncio di morte dell’Imperatore, spirato a 86 anni. Sotto il suo lungo Regno, l’Austria-Ungheria perse una guerra contro la Francia di Napoleone III e il Piemonte di Vittorio Emanuele II (1859), un’altra contro la Prussia di Bismarck e il Regno d’Italia, e con essa il primato nel mondo germanico; fu costruita la Ringstrasse, il lungo viale di circonvallazione di Vienna; fu deciso il compromesso con l’Ungheria nel 1867; venne espresso l’ultimo veto in un conclave, contro il cardinale Rampolla del Tindaro, filofrancese, nel 1903, ed infine scoppiò nel 1914 la prima guerra mondiale, che portò alla dissoluzione della Monarchia.
Come per gli antenati, dopo un lungo ed elaborato protocollo funebre, compresa la suggestiva cerimonia d’ingresso, con il rituale dialogo in latino tra il priore ed il ciambellano, il sarcofago fu deposto nella cripta dei Cappuccini, la Kaisergruft, sotto la chiesa di santa Maria degli Angeli in Vienna, dal 1633 principale luogo di sepoltura di Imperatori ed Arciduchi d’Austria, tra quelli della moglie Elisabetta di Baviera (la bella e celebre Sissi, l’imperatrice ribelle) e del figlio Rodolfo, misteriosamente suicidatosi a Mayerling nel 1889. La Franz Josephs Gruft era stata costruita nel 1908, come parte delle celebrazioni dell’Imperatore per i 60 anni di Regno. Essendo stata adottata una nuova tecnica d’imbalsamazione, il corpo del defunto si decompose rapidamente e non fu possibile esporlo secondo l’uso. In fondo, Francesco Giuseppe, il “povero e miserabile peccatore”, per il quale si erano infine schiuse le porte dell’ultima dimora, aveva qualche buona ragione per diffidare delle novità! Questo è il filmato più interessante sul suo funerale:
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La famiglia dell’imperatore Francesco Giuseppe, intorno al 1880

Mostre e celebrazioni hanno punteggiato questo centenario, sia a Vienna, sia altrove. Dal 16 marzo al 27 novembre, in quattro sedi diverse – tre a Vienna e la quarta nella Bassa Austria, il Land che circonda la Capitale – è stata allestita una rassegna dal titolo “Francesco Giuseppe 1830-1916” (www.franzjoseph2016.at). La mostra, accuratissima, è suddivisa in diverse sezioni, e punta ovviamente i riflettori sul monarca ed il suo tempo, approfondendo in modo critico la sua figura.
Dall’inizio dell’anno la Biblioteca nazionale austriaca dedica a Francesco Giuseppe una grande esposizione, “L’imperatore eterno”, dedicata all’immagine pubblica del personaggio più raffigurato dell’Ottocento; in particolare, i suoi anniversari sul trono e per l’ottantesimo genetliaco causarono una vera esplosione di immagini: il suo volto apparentemente senza tempo era ovunque onnipresente, essendo l’unico simbolo di coesione del Regno absburgico, in fase di decadenza. Il prestigio internazionale ed un uso propagandistico dei mezzi di informazione, che descrivevano la vita alla Corte Imperiale con toni da favola, dissimulavano già, in quegli anni, la profonda crisi che minava l’Impero, a cominciare dall’insofferenza dei nazionalisti italiani (anche se gli italiani nell’Impero erano diminuiti dopo la perdita della Lombardia e poi del Veneto), ungheresi e dei vari popoli slavi.
La corsa agli armamenti delle nazioni europee e il gioco diplomatico delle alleanze internazionali spinse l’Austria-Ungheria verso la tragedia: nell’ottica di un’espansione militare nei Balcani, le gerarchie dell’Esercito absburgico erano convinte di riuscire a conquistare in poco tempo la Serbia e, sebbene Francesco Giuseppe fosse riluttante a firmare la dichiarazione di guerra, il 28 luglio 1914, l’assassinio dell’erede al trono, il poco amato nipote Francesco Ferdinando, nell’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, aveva fatto precipitare la situazione. Varie associazione legittimiste italiane hanno annunciato commemorazioni, a partire dal Circolo del Regno Lombardo Veneto, che – sia a Milano, sia a Trieste e a Vienna – organizzerà messe solenni in suffragio, convegni di studio, cortei. Piccola riparazione postuma al contributo che, purtroppo, l’Italia diede alla distruzione dell’Impero!

Chi fu Francesco Giuseppe?

Chi fu realmente Francesco Giuseppe, oltre gli odî del suo tempo, la letteratura, le ricostruzioni storiografiche, i film zuccherosi con Romy Schneider, le celebrazioni spesso nostalgiche di oggi? L’Imperatore amava la caccia ed il ballo, le musiche degli Strauss, il valzer. Scarsamente sensibile all’arte ed alla letteratura, leggeva poco. La sua sobrietà era leggendaria. La sua colazione, quasi sempre consumata in ufficio, consisteva in un piatto unico di carne e verdura, accompagnato da un boccale di birra bavarese. La notte l’Imperatore si accontentava di yogurt con pane integrale. La porcellana di valore era usata solo per i pranzi ufficiali. Austero e frugale, Francesco Giuseppe indossava sempre la stessa uniforme militare, in coerenza con il suo spirito spartano e la sua concezione di Monarchia militare. Egli riceveva molte persone, detestando gli adulatori, parlando poco ed a bassa voce nelle varie lingue dei suoi domini. Gli strilli erano talora riservati ai parenti Arciduchi, ch’egli trattava come reclute da istruire e comandava a bacchetta! Francesco Giuseppe era un tradizionalista convinto. Non usò mai il telefono, pur facendo un ampio uso del telegrafo e, pare, solo una volta l’automobile!

La principessa Sissi

L’Imperatore rimase sempre innamorato della sua Sissi, con una tenera indulgenza, non rara negli Absburgo, sebbene rigidi e formalisti. Quando cominciò a frequentare l’attrice Katharina Schratt, si scoprì che era stata la stessa Imperatrice a presentargliela. Elisabetta si era allontanata dal marito non desiderando altre gravidanze (ebbero un figlio e tre figlie), in un’epoca che ignorava la contraccezione. Anticonformista, lei si preoccupava per la serenità del marito! Francesco Giuseppe ammirava il talento di Katharina e rimase affascinato da una personalità tranquilla, assai differente da quella della sua nevrotica moglie – anoressica ante-litteram, ossessionata dallo sfiorire della bellezza, al punto di non farsi mai fotografare dopo i 35 anni e sempre velata – compulsivamente dedita ai viaggi, al mare, all’equitazione, all’esercizio fisico, intollerante del protocollo della Corte viennese, eccentrica, malinconica, sensibile, ribelle come il cugino Re Ludwig II di Baviera, il protettore di Wagner, alla pari di molti Wittelsbach. Carattere ereditato dal suo unico figlio maschio Rodolfo, intelligente, libertino, dissoluto e di sentimenti liberali.
Fondamentalmente fu il rifiuto dell’Imperatore a varare riforme amministrative e democratiche a determinare la fine della Monarchia. Un progetto sviluppato nel 1906 da un gruppo di accademici per l’erede Francesco Ferdinando non prosperò, anzi aumentò la diffidenza dell’Imperatore, che allontanò da sé ogni ipotesi di abdicazione. Proponeva di ridisegnare la mappa dell’Impero, creando una serie di Stati, etnicamente e linguisticamente omogenei e semiautonomi, parti di una Confederazione che cambierebbe il nome di Impero con quello di Stati Uniti della Grande Austria. Una sorta di “cantonalizzazione” alla Svizzera.
Nel 1914, l’Austria-Ungheria si estendeva su 676.616 chilometri quadrati ed aveva 52,8 milioni di abitanti, essendo così il secondo Paese più esteso d’Europa, dopo la Russia, ed il terzo con maggiore popolazione, dietro Russia e Germania. Contava ben 15 nazionalità: 12,5 milioni di austrogermanici, 10.5 milioni di magiari, 7 milioni di cechi, 2 milioni di slovacchi, 5.2 milioni di polacchi, altrettanti di serbi, croati e bosniaci, 3,5 milioni di rumeni, 4 milioni di ruteni ed ucraini, 800.000 di italiani, friulani e ladini, 1.3 milioni di sloveni. Senza conteggiare separatamente i rom e gli ebrei nazionalizzati. C’erano 40 milioni di cattolici romani e greco-cattolici (ucraini e romeni), 4.5 milioni di cristiani ortodossi (serbi, romeni e ucraini), 4,7 milioni di luterani e calvinisti, 2,5 milioni di ebrei ed 800.000 musulmani, la cui coesistenza pacifica era garantita dall’Impero. Non si amavano, ma nemmeno si ammazzavano tra loro. Se la situazione balcanica era stata durante il secolo XIX problematica e spesso sanguinosa, la dissoluzione dell’Austria-Ungheria avrebbe esacerbato ogni questione, con nuove frontiere che separeranno popoli e creeranno barriere doganali che asfissieranno il commercio, determinando la crisi economica dei Paesi sorti a Versailles.
(1 – Continua)

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Gianni Marocco

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