Mostre. Ferrara celebra i cinquecento anni dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto

14585739_1183961518331238_1013552634_oNel 1516 veniva stampato per la prima volta a Ferrara uno dei maggiori capolavori della letteratura italiana, amato e stimato fin da subito anche all’estero, dove continua ad essere studiato e ammirato tanto quanto in Italia: l’Orlando Furioso.

Per quanto il calibro dell’opera meriterebbe una celebrazione nazionale pari a quelle tenutasi per i 750 anni dalla nascita di Dante (2015) o in altri Paesi per Shakespeare e Cervantes, Ferrara sta celebrando il suo poeta con una mostra sorprendente.

 

LA MOSTRA

Ci sono anche altre iniziative, ma la mostra “500 anni Orlando Furioso – cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi” spicca su tutte,  perché ha l’ambiziosissimo obiettivo di ricreare per gli uomini del secondo millennio l’atmosfera in cui l’opera ha avuto origine.

Dal 24 Settembre fino all’8 Gennaio, Palazzo dei Diamanti, più volte sede di prestigiose mostre internazionali, ospita una collezione raccolta per stupire.

La cornice rinascimentale del palazzo, fatto costruire dal fratello del duca Ercole I d’Este nel 1493, tende fin da subito allo scopo: queste sono le architetture in cui Ariosto deve essersi mosso.

L’allestimento invece, minimal e moderno, a cura dello studio Antonio Ravalli Architetti , giocando perfettemente con luci calde e colori scuri, ha un carattere fortemente allusivo. Le strutture in vetro in cui sono esposti alcuni dei pezzi più interessanti vengono chiamate teche-albero e vanno a popolare quello che al visitarore deve sembrare una delle foreste del Furioso.

 

Ma la carta vincente della mostra sta sicuramente nell’aver accostato elementi artistici diversi, da famosissimi quadri e composizioni pittoriche (sono infatti esposti da Botticelli a Raffaello, da Da Vinci a Giorgione, da Mantegna a Tiziano, con opere provenienti dai più importanti musei del mondo) ad oggetti curiosi, che accontenterebbero in pieno chi da una mostra tematica si aspettasse qualcosa di diverso.

Ecco infatti che i più rari e preziosi manoscritti vengono offerti al pubblico aperti alle loro pagine più belle, più riccamente miniate: alune copie del romanzo di Lancillotto o del Galvano, cavalieri della corte di re Artù, con le loro illustrazioni ci mostrano l’idea che un uomo del Rinascimento doveva avere di un cavaliere. E che dire dell’unica copia esistente della seconda edizione dell’ Innamoramento di Orlando di Boiardo, quasi antefatto del Furioso?

Un’altra piacevole sorpresa è sicuramente rappresentata da una lettera di Machiavelli del 1517 in cui  esprimeva tutta la sua ammirazione per l’opera e si doleva anzi di non essere tra i poeti e letterati che Ariosto nominava nel poema.

Possiamo così vedere tanto opere che caratterizzavano il background rinascimentale, come una copia  dell’ Hercules Furens di Seneca; così come risultati dello stesso fermento culturale che ha portato alla genesi del poema, come la Liberazione di Andromeda di Piero di Cosimo a cui probabilmente Ariosto si è ispirato per la scena della liberazione di Angelica dall’orca; ad opere invece immediatamente successive alla pubblicazione del poema che ne attestano l’immediato ed enorme successo, come la Melissa di Dosso Dossi.

Il più recente omaggio all’opera lo si trova in una meravigliosa copia del Don Chichotte aperto alla pagina in cui uno dei personaggi riferendosi ad i libri contenuti in una biblioteca riferisce che avrebbe orrore di trovare una traduzione dell’Orlando Furioso ma ammirerebbe molto il possesso di una copia in lingua originale.

La mostra non presenta oggetti più tardi: tutto ciò che vediamo fa parte dell’epoca della cavalleria, dal Medioevo, in cui era realtà; a quando si è fatta leggenda, tra Umanesimo e Rinascimento; al suo ultimo declino nella beffa , come oltre a Don Chichotte avviene in un’opera nostrana, il Morgante Maggiore di Pulci, anch’esso in mostra.

 

Ma ciò che si può vedere di quell’epoca non si esaurisce tra quadri e libri: armature, spade, selle, elmi e archibugi rispendono nelle teche e fuori. Tra tutti, il leggendario Olifante, il corno magico di Orlando, non potrà non affascinare e nei suoi intarsi d’avorio ci può far comprendere quanto presente agli occhi del pubblico coevo dovevano essere gli oggetti del poema.

Una grande carta geografica, la Carta del Cantino, dà l’idea di come il mondo fosse visto ai tempi di Ariosto, mentre un accattivante pannello ci mostra il mondo in cui si muovono i personaggi dell’Orlando Furioso.

Altri pannelli riportano versi e curiosità dell’opera, che grazie ad un percorso sapientemente guidato si dispiega di sala in sala.

 

LA VITA DELL’ARIOSTO

Nato in realtà a Reggio Emilia si trasferisce poi a Ferrara; dopo i primi studi di grammatica, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza per volere del padre. Intanto partecipa alla vita di corte nell’ambito teatrale: le prime opere di Ariosto sono proprio delle opere teatrali.

Abbandonata la carriera di giurista, riprende invece quella delle lettere, dove mette in pratica lo studio del latino con esercitazioni poetiche, poi fatte anche in volgare, seguendo l’amico Bembo. Nel 1497 diventa uno dei cortigiani stipendiati dalla corte; ciò lo porta ad avere anche incarichi amministrativi. Ha due figli e nel 1503 entra al servizio del cardinale Ippolito d’Este, per cui cura i rapporti diplomatici con Roma durante il papato di Giulio II. E’ in questo periodo che si concetra la produzione delle satire in cui esprime il malcontento per i doveri burocratici che, oltre a impedirgli di dedicarsi pienamente alla letteratura, lo tengono per lunghi periodi lontano dal casa.

Tuttavia nel 1507 inizia la stesura dell’Orlando furioso, mentre riforma il teatro volgare con due commedie in prosa.

Tra i viaggi a Roma, a Firenze (dove conosce Alessandra Benucci, la donna a cui più volte si riferisce nel poema e che sposerà in segreto alla morte del marito di lei) e le battaglie che straziavano le regioni settentrionali, il Furioso viene edito per la prima volta, nel 1516.

Ariosto continua a lavorare comunque sul poema di cui produsse altre due edizioni nel 1521 e 1532. Nonostante l’enorme successo internazionale dell’opera, Ariosto deve continuare con la sua vita a corte: tra mancati riconoscimenti, l’annullamento dello stipendio cortigiano, si ritrova a dover governare la Garfagnana, regione difficile, un tempo parte dei domini lucchese e fiorentino, poco controllabile per l’alto tasso di criminalità e per la vicina pressione dei vecchi dominatori. Nonostante il successo come governatore, sente il bisogno di tornare a stabilirsi a Ferrara e rinunciando a tutti gli incarichi che lo avrebbero portato ad allontanarsi; così si insedia definitivamente in una contrada del ferrarese dove si dedica alla riscrittura del suo poema (l’ultima) e alla trasposizione in versi di molti dei suoi lavori teatrali, che aveva continuato a produrre durante tutto il corso della sua carriera.

Qui, dopo un lungo periodo di malattia muore nel 1533; prima sepolto nel monastero di San Benedetto, oggi si trova nella Biblioteca Comunale Ariostea.

 

 

NEL LABIRINTO DELL’ORLANDO FURIOSO

Delineare una trama dell’Orlando Furioso è un esercizio difficile, pressoché fallimentare nel restituire la bellezza e la complessità dell’opera.

Foscolo paragona il modo di narrare di Ariosto alle onde dell’oceano, come fa lo stesso autore con metafore sulla tessitura e il navigare: un numero incredibile di personaggi si mischiano in spazi diversissimi, reali e fantastici, inseguendo e perseguendo oggetti, uomini e obiettivi sempre soggetti al cambiamento.

Nei 46 canti del poema, sono due i personaggi a cui più degli altri bisogna legarsi per poter seguire un filo, perchè, senza dimenticare lo sfondo della guerra tra Saraceni e paladini di Carlo Magno, sono loro ad articolare i momenti più importanti della storia: Orlando e Bradamante.

Orlando, che già nell’Innamoramento di Orlando, innamorandosi di Angelica, era venuto meno alla castità esemplare con cui era carattrizzato nei poemi medievali, qui arriva a perdere il senno quando  la principessa del Catai sceglie un anonimo soldato come marito ed esce di scena lasciando Orlando orfano della missione di proteggerla e farle da cavaliere; questo avviene però dopo la metà del poema, in seguito a canti e canti in cui Orlando ha perso e ritrovato Angelica, si è scontrato con altri cavalieri, ha salvato fanciulle ed è caduto prigioniero di castelli magici. Le sue folli scorrerie avranno fine quando un altro paladino, Astolfo, gli porterà il senno dalla Luna, luogo speculare alla Terra, eccetto che per l’assenza della follia. Potrà così combattere insieme ad altri due cristiani contro tre nemici in un duello che metterà fine alla guerra, ma non al poema.

 

La conclusione del poema non è infatti un tragico, per quanto vittorioso, duello, ma il matrimonio di Bradamante con Ruggiero. Se infatti tutti i personaggi dell’opera sono caratterizzati, come tutti gli uomini in fondo, da un’inarrestabile e inappagabile desiderio di un oggetto sempre diverso e inattingibile, Orlando e Bradamante si distinguono per essere invece fissi nelle loro ricerche, per quanto anche le loro non manchino di deviazioni.

Al contrario di Orlando, Bradamante, la donna-guerriera, riuscirà a coronare la sua caccia, sposando il cavaliere musulmano a cui si era promessa in sposa fin dal poema di Boiardo. Anche in questo caso non mancano le difficoltà: Ruggiero è tenuto prigioniero da un mago che costruisce per lui castelli incantati, una delle più geniali invenzioni di Ariosto; anche quando la donna lo libera, lui deve tornare nel campo nemico, per combattere con onore per i suoi prima di convertirsi. Mentre Bradamante aspetta con la stessa impazienza di una teenager di oggi, viene anche a sapere che Ruggiero ha trovato un’altra donna.

Ruggiero e Bradamante ne passano tante altre, non ultimo il tentativo dei genitori di lei di darla in sposa ad un altro principe, essendo ignari dei suoi propositi; eppure nell’ultimo canto c’è spazio per le loro nozze, necessarie: sono infatti loro i leggendari fondatori della casata d’Este.

 

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese”

Ad Ariosto bastano pochi versi per annunciare tutto questo.

@barbadilloit

Silvia Lamacchia

Silvia Lamacchia su Barbadillo.it

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