Artefatti. Fare quattro passi tra i luoghi comuni nel regime dell’indignazione

dadaumpaIl Golf – “Siamo costernati, è davvero un peccato, l’Italia ha perso un’occasione storica per giocare a golf ad alti livelli”. Ce lo chiese a suo tempo l’Europa, con quei protocolli che sottovalutammo per laicismo. Da ciò, peraltro, conseguì la perniciosa fuga di cerbiatti all’estero. Le bandierine erano da sostituire una volta a settimana, perché il giallo com’è noto tende a scolorire. Prati non a posto dai tempi dei frati e palline che per senso di responsabilità cedemmo alla Norvegia, in cambio di mazze; ma poi i commissari ci frugarono l’abito: Ecco dov’erano, nella tasca buca! Fummo fortunati, in quell’occasione, perché era inverno, ci scusarono per via dei Bucaneve non parametrati in quanto insolubili nel latte, foss’anche caldo. Ci facemmo perdonare con lettera d’amore alle banche Perugina: per via del numero legale mancante il referaggio fu posticipato. Volendo fare i pignoli i cavoletti avevano ragione, giacché scrivemmo broccoli sula busta affrancata. Prostrati, ma ora risoluti, oltremodo affermiamo: cincischiammo. Esprimiamo quindi biasimo, giacché il prato avrebbe dovuto essere curato – non solo prete –  per tempo, e a nulla serve ora irrigare, lamentandosi a bue morto e a bucato fatto. All’epoca lo dicemmo chiaramente, ci foste testimoni, ma chi ci prestò fede?

La gente è stufa – C’erano tutti i postumi, i posteri ed i postriboli: quando volavano i postini era d’inverso. Platani, dall’alto, mentre ora i plantari dettano legge. Pare giusto? Dicono i sondaggi che la gente è stufa, anche senza legna. Ma perdinci, st’uffa è quello che si sente dire in giro al mercato, tutti non ne possono più. Senza meno, dimettersi da cittadino sarebbe un bel gesto etico: dare l’esempio! Quella famiglia d’indiani che ci sta invadendo? Si sente l’odore di cardamomo nei pressi, facciamo finta di niente? Sottovalutiamo, sottovalutiamo, mi raccomando. Poi non venite a dirci che non c’è più il sushistan di una volta, come se fosse stato soppresso dal mandorlato, a sua volta assoggettato al pandorato. Aleggia questa diceria: balocchiamoci pure, ma stiamo per essere invasi dagli umani. Qualcuno non ci crede e parla di Tesla, scie chimiche e rettiliani. Mentre le lucertole luminose… ah no? Qui nicchiare, perché sapere è sempre faccenda immeritevole. Ohibò, dovrebbero dimettersi a posto tutti, noi lo faremmo se avessimo una mensola.

Il Civismo – C’erano le villette imperterrite con vallette in tv, l’andazzo generale stellato, il calcestruzzo con la testa sotto la sabbia, i lampioni nuovi che d’inverno vaporizzavano lucori bluastri (le mucche che ballano), con le telecamere per la sicurezza a difendere le mura di Gerusalemme dalle orde di Gog e Magog. C’erano i giorni destinati alla plastica, al vetro, alla carta, al secco – che è sempre l’unica regalità sulla scacchiera dei rifiuti – gli avvisi che il mancato rispetto della tal scadenza avrebbe comportato ben peggio. Inadempienze che difatti portarono alla ribalta l’ipotesi di pena di morte in caso d’ibrido affastellamento di scorie domestiche. Da ciò il vicino, che nottetempo passava a controllare gettando uno sguardo nel bidoncino attiguo, così, tanto per vedere se era tutto a posto. Composit e spionaggio. Applicare il bollino qui, apporremo poi la firma là. D’accordo? Tutto un impiccio barocco, mentre si concretizzava un’ipotesi d’Argentina. Facile qui dimostrarsi irresponsabili: “non vuoi votare al referendum, t’accontenti dell’argentina quando l’Italia potrebbe essere doratina?”. E poi ci lamentiamo che le cose non vanno e che il sangue non è più morlacco.

La confraternita del gelso – Nulla, stante lo sbando della Patria, decidemmo di scivolare in campo con la lista Nichi-Lista. Eravamo davvero esasperati per la speciosa questione lattea. Suvvia, intimammo a vanvera: numero civico! Ché il cosmo evasore non può celare il bianco a discapito delle vacche. A maggior ragione ci fastidiammo quando scoprimmo che il partito dell’Alleanza Monarchica prese la decisione di non concederci il simbolo. Telegrammi discordanti in merito, giacché Corona – pur leggera – è pur sempre una birra. “Maccome!” si disse in sede, dovremmo forse contrabbandare il fardello d’essere cittadini lattonieri (alcuni evoluti senza impicci in tetrapak di Kubrik), col privilegio pragmatico di palesarci come sudditi del luppolo? Gonfiori sulla bara, senza barare al bar però, convenimmo. Tra latte e lattina si farà mattina. Lessie comunque il comunicato, invero canino, mettendolo ai voti. Altresì convinti di far venire meno il nostro impegno politico proprio grazie alla candidatura, deliberammo per il Forse a schiacciante maggioranza. Eravamo in due, di cui uno con qualche perplessità, per via dell’impiccio sabaudo. Io, per altro astemio, votai Amedeo, infantasmato dai tatuaggi con timone e àncora sdrucciola.

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Donato Novellini

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