Il caso (di G.DeTurris). Il politicamente corretto debordante e 20 anni di centrodestra flop

Il bavaglio del politicamente corretto
Il bavaglio del politicamente corretto

Se nel 2016 Alessandro Gnocchi(Ecco i libri impubblicabili che vogliano leggere) e Nicola Porro (La commessa della Feltrinelli decide cosa possiamo leggere) scrivono quel che hanno scritto su Il Giornale del 18 settembre, si deve dire che – ahimè – quarant’anni sono trascorsi invano. Se sono costretti a raccontare come gli autori ideologicamente scomodi sono ancora lì ad aspettare di essere “scoperti” dalla nostra cultura, editoria e giornalismo,  vuol dire che siano bloccati alla mentalità degli anni Settanta. Se può accadere che una qualsiasi ragazzotta che stipendiata dalla Feltrinelli si piò permettere di insultare chi acquista un libro non di suo personale gradimento (“Solo un ricco di destra può scrivere una cazzata simile” riferendosi a La diseguaglianza fa bene di Porro, La nave di Teseo) senza essere mandata a quel paese e senza chiedere spiegazioni al direttore della libreria, ciò vuol dire che siamo ancora alla mentalità faziosa del Sessantotto, al mito fasulla della superiorità antropologica dei comunisti. E tutto questo insieme vuol dire che la Destra politica non è riuscita a incidere sul piano culturale, e sì che è stata al potere a fasi alterne per un decennio dal 1994 in poi, pur possedendo case editrici, settimanali e televisioni. Anzi, addirittura per un ventennio come alla regione Lombardia dove culturalmente non ha lasciato traccia dopo la prematura morte di Marzio Tremaglia…

La conclusione è che questo Paese, per una serie di colpe incrociate individuali e collettive, è fondamentalmente  inguaribile, non riesce a uscire da un conformismo generalizzato insito nella sua natura, che non è dunque  di ora, che preferisce il compromesso alla affermazione della fermezza di idee e valori che dura da oltre 70 anni. Conformismi e compromessi di volta in volta adeguati al momento storico-politico-culturale. All’inizio era l’antifascismo duro e puro, poi la spartizione del potere fra Dc e PCI, poi l’egemonia culturale, poi  la guerra civile a bassa intensità, come la definì qualcuno, della contestazione d poi dello lotta armata con centinaia di morti e migliaia di feriti al motto “ammazzare un fascista non è reato”, poi il “riflusso”, poi la crisi economica che faceva pensare ad altro, poi Tangentopoli. In tutti questi decenni sono rimasti quasi intatti i muri ideologici che hanno permesso prima al PCI e poi alla intellighenzia da esso allevata e rimasta dopo la sua scomparsa, di impedire la libera circolazione di idee, autori, libri, film.

Eppure dal 1968 al 1976, appunto quaranta anni fa, era nata una efficace reazione contro il sinistrismo estremista della contestazione e la egemonia comunista delle idee. C’erano case editrici storiche come Volpe e Il Borghese che stampavano quei libri controcorrente ce oggi si scoprono, e pubblicavano riviste culturali con La Destra di Claudio Quarantotto e Intervento di Fausto Gianfranceschi. E c’erano settimanali battaglieri come quello di Mario Tedeschi e Lo Specchio di Giorgio Nelson Page. Ad essi si era affiancata una potenza come Rusconi che aveva affidato la casa editrice ad Alfredo Cattabiani. Poi l’accanimento giornalistico, il ricatto politico, il conformismo culturale rase al suolo tutto ciò  alla metà degli anni Settanta, anche se molti di quelli che allora erano nati negli anni Quaranta e Cinquanta si erano formati leggendo quelle pagine.

In seguito tutti si ritrovarono nelle coraggiose iniziative di Marcello Veneziani che all’inizio degli anni Ottanta-inizio Novanta creò dal nulla due riviste, L’Italia settimanale e Lo Stato (con un bellissimo inserto sui maggiori noni della cultura di destra italiana del Novecento) che cercavano di dare voce ad una parte del nostro pae riunendo sule loro pagine le varie espressioni della cultura anticonformista e controcorrente. Uno sforzo notevole e accattivante he suscitò gelosie e incomprensioni. Infatti nessuno aiutò legittimamente quelle riviste (pubblicità, abbonamenti) – unici tentativi dopo anni e anni e che nessuno ha osato ripetere – per ignoranza, incoscienza, invidia, manie complottistiche (“è pagato da Craxi!”) non avendo capito che le vittorie elettorali si devono consolidare nella coscienza dei votanti con le idee e la cultura. E infatti poi è successo quel che è successo. Sono rimaste solo individualità iper-egocentriche e nessuno che abbia più fatto tentativi che coinvolgessero le sparse forse rimaste in iniziative concrete.

Anche allora, negli anni Settanta, ci si batteva contro il pensiero unico di sinistra, nonostante che la sponda  politica (il MSI di Almirante) fosse quasi indifferente alla cultura (con debite eccezioni). Vent’anni dopo, crollati i partiti tradizionali sotto i colpi di Mani Pulite che salvò solo il PCI, emerse una nuova destra politica che andò al potere a fasi alternate, ma anch’essa dopo un fuoco iniziale ha dimenticato la cultura: che fine ha fatto la rivista Ideazione e la sua casa editrice tanto per fare un esempio?

Era un centrodestra variegato: moderati, conservatori, liberali, postfascisti, addirittura radicali, ma tenuti insieme dall’opporsi alla egemonia di una sinistra che si stava avviando al declino, fatto di cui non ha saputo o non è riuscito ad approfittare. Oggi la sinistra dal punto di vista delle idee non ha assolutamente più nulla da dire, se non aggrapparsi ad un isterico antifascismo parolaio, gli rimane però il potere culturale che ancora gestisce l’appiattimento al nuovo conformismo, cioè il politicamente Corretto in tutte le salse di cui sono aedi i grandi organi di stampa. Il conformismo è oggi dominante e ti guardano male non solo se chiedi il libro di Nicola Porro, ma anche se disegni una vignetta satirica della ministressa Boschi, o se definisci la sindachessa di Roma “bambolina imbambolata”, o hai tatuato sul braccio un Dux, e vieni addirittura licenziato in tronco nell’assordante silenzio di Ordine e Federazione se scrivi in un titolo “cicciottelle”. Cose assai diverse fra loro ma che anno tutte un denominatore comune. Ecco il massimo delle battaglie culturali nell’Italia del 2016. Mi viene in mente la fila di ciechi guidati da un cieco che marcia verso  un abisso, immortalata da Brueghel (quadro che, ma vedi un po’, abbiamo in casa, a Napoli).

Siamo così tornati a quarant’anni fa – anche se alla tragedia si è sostituita  la farsa – grazie all’insipienza, alla incoscienza e alla mancanza di lungimiranza della politica di centrodestra che non è riuscita a modificare o solo incidere a livello ideale per far accettare una visione del mondo diversa da quella agonizzante ma sempre egemone: editoria, cinematografia, televisione, università, accademie, teatri non sono in fondo molto cambiati e non hanno lasciato spazio a chi non è conforme. Per fortuna, a differenza degli anni Settanta, i nuovi media consentono di poter scavalcare almeno in parte certi ostacoli, se li si sa usare al meglio, come dimostrano in Rete molti siti e blog assai battaglieri e documentati, puntuali sulle notizie. Ma non basta certo, una magra consolazione, avendo perduto ormai venti – 20 – anni e più. Diciamo una intera generazione.

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Gianfranco de Turris

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