Focus. Il Partito radicale motore del liberismo selvaggio nella società italiana

marco-pannella038-1000x600Chi vinse realmente il derby politico della Prima Repubblica? Dc o Pci? Per quanto possa apparire sconcertante, né l’uno né l’altro dei grandi partiti di massa. Oggi né la Dc né il Pci – né tantomeno gli altri partiti della Prima Repubblica – potrebbero trovare nella politica odierna dei corrispettivi degni di questo nome. Lo stesso lascito culturale dei due partiti è in gran parte svanito. L’Italia è assai cambiata dal ’48. Né i richiami alla solidarietà di classe e alla rivoluzione universale né quelli ad una visione cristiana della società potrebbero trovare qualche appiglio di conto tra le masse. Nonostante quasi cinquant’anni di governo ed opposizione, DC e PCI poco lasciano all’Italia. A vincere su di loro è stata la forza di piccolo partito, assolutamente minoritario in termini di voti e di consensi ma che ha lasciato un solco più profondo di qualsiasi altro: il Partito Radicale.

I Radicali desideravano essere rivoluzionari e controcorrente. Indubbiamente sono riusciti nel primo intento ma, a posteriori, non furono loro a combattere lo Zeitgeist. Essi ne divennero i cantori e gli interpreti più appassionati. La loro guerra contro i costumi secolari porta certamente il crisma di un’epica scanzonata ma tuttavia vincente. Come ogni epica vincente, a lungo andare ha perduto ogni bellezza. Il loro è stato il canto del barbaro vincitore, nuovo della contrada, sulle rovine, marchiate dal ferro e dal fuoco, di una civiltà ormai morente. Al pari dei Visigoti di Alarico furono certo i primi a giungere invitti sul Capitolino, ignari d’essere nient’altro che l’avanguardia d’una lunga schiera.

Il Partito Radicale – nato nel 1955 da una costola intransigente del PLI – ha lanciato, nel corso degli anni ’70 e ’80, alcune delle campagne inerenti i costumi e i diritti civili che più hanno cambiato il volto del popolo italiano. Le battaglie a favore della sessualità libera, la lotta a favore del divorzio e della liberalizzazione delle droghe leggere: tutto ciò ha segnato – e continuerà a segnare – la storia d’Italia. Inoltre i Radicali possono fregiarsi del vanto assai sgradevole di aver influito in maniera determinante sulla legalizzazione di quell’aberrazione che è l’aborto. I vecchi comunisti difficilmente avrebbero mai intaccato la stabilità del nucleo familiare, riconosciuto come uno dei pilastri della vita sana di un lavoratore: non è al PCI che occorre imputare tutto ciò. La vera truppa d’avanguardia del laicismo furono i Radicali. Un risibile formazione politica, sostenuta da un numero di voti assai esiguo e da una leadership instabile, ebbe la capacità di rendersi interprete di una strana commistione libertaria di ideologia sessantottesca e di liberismo, le uniche due forme di pensiero che, seppur pervertite, realmente vigono pressoché incontrastate nell’Italia – e nell’Europa – dei nostri giorni.

I Radicali furono gli interpreti, teorici e pragmatici, di una teologia della libertà che fino ad allora mai aveva trovato il giusto sbocco politico ed istituzionale, né tra i vecchi partiti di marca liberale né tra quelli di area socialcomunista. La libertà acquisì il carattere di un valore assoluto, e dunque privo di razionalità. Libertà anche per il peggiore dei criminali – e qui le battaglie garantiste contro le cosiddette carcerazioni inique -, libertà nei costumi privati e pubblici. Libertà intesa non come diritto naturale che trae le sue radici dall’essenza stessa dell’uomo – diritto alla vita, al sostentamento, alla proprietà, all’educazione – ma come metro autoreferenziale con il quale rapportare le questioni pubbliche alla propria individualità e, soprattutto, al proprio desiderio. L’Io come centro, unico ed assoluto, a discapito della collettività, dei diritti e dei doveri: tutto ciò potrebbe essere racchiuso sotto il nome di edonismo. Non è un caso che, per i Radicali, la liberazione nella sfera sessuale e dei costumi si sposi, seguendo un percorso graduale benché irreversibile, con il liberismo più sfrenato. Tutto ciò oggi possiamo percepire i segni evidenti. Il mutamento non si è limitato ai costumi, ma è penetrato anche nelle coscienze, specie delle generazioni più recenti, per le quali ogni libertà è appunto gratuita e permessa. La società si disgrega di fronte ai nostri occhi, accecata dal miraggio di una libertà edonistica e priva di capisaldi, oppressa dalla schiavitù della produzione come unica forma di realizzazione di sé.

Ai tempi di Tangentopoli il Partito Radicale era ormai dissolto da quattro anni e, assumendo la denominazione di Partito Radicale Transnazionale, trasversale rispetto ogni schieramento politico prettamente detto, deliberava di svolgere esclusivamente attività di tipo sociale e culturale. Quest’anno è scomparso l’uomo con il quale i Radicali sono stati per lungo identificati, Marco Pannella, l’organizzazione attraversa cattive acque marcate dal frondismo, mentre suoi vecchi esponenti, da Daniele Capezzone nel centrodestra a Benedetto Della Vedova tra gli ex di Scelta Civica, siedono in parlamento. Tuttavia il segno lasciato dai Radicali nella società italiana è più vivo che mai.

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Niccolò Nobile

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