Cattolicesimo inglese. Dall’isolamento secolare alla coscienza critica britannica

1024px-whitby_abbey_image1The Rock. The Watcher. The Stranger.

He who has seen what has appened

And who sees what is to happen.

The Witness. The Critic. The stranger.

The God-shaken, in whom is the truth inborn[1].

Sono queste alcune delle parole che, per mezzo del coro, un illustre convertito alla High-Church[2], il poeta T. S. Eliot, dedica alla Chiesa nel Canto I di una delle sue opere drammatiche purtroppo meno note, Choruses from “The Rock”. La Rocca è metafora per la Rocca di Pietro, la Roccia, isolata nella modernità; tuttavia le parole Eliot sulla Church witness and critic dall’accezione di carattere universale della quale il poeta intendeva porsi interprete, possono essere facilmente ricondotte al peculiare mondo della cattolicità anglosassone.

L’essere parte di una minoranza all’interno di un contesto tutto sommato omogeneo, può costituire, per la stessa, tanto un motivo di coesione interna, quanto uno stimolo per lo sviluppo di una coscienza intellettuale di notevole versatilità. È il caso, ad esempio, della cultura ebraica orientale e di quella cattolica anglosassone. Tuttavia, se l’ebraismo ashkenazita, nelle sue varie declinazioni, dalla cultura popolare degli shtetl galiziani a quella patrizia dei salotti di Vienna, crebbe in un contesto, quello slavo e Mitteleuropeo, che per sue natura costituisce un interessante milieu culturale, la cattolicità inglese si trovò a sopravvivere per secoli in un ambiente non solo tutt’altro che favorevole, ad esempio dal punto di vista politico e sociale, ma anche estremamente compatto sotto il profilo culturale. Inevitabile fu dunque lo sviluppo di una ricca tradizione intellettuale che, si può sostenere, ha rappresentato la coscienza critica e minoritaria del mondo anglosassone da San Thomas Beckett in avanti, donandogli alcuni dei suoi figli più dotati fin dal XVI secolo, l’inizio dell’isolamento della Chiesa rispetto alla società inglese, con Thomas Moore e Reginald Pole, il grande riformatore di Trento.

Quella del Cattolicesimo inglese è una storia tormentata. Il conflitto tra la Chiesa e il potere regale ha infatti radici ben più antiche dell’apostasia di Enrico VIII, e potrebbe essere fatta risalire ai sovrani delle dinastie normanne, a Sant’Anselmo d’Aosta e a San Thomas Beckett. Proseguì nei secoli della Riforma e dell’età elisabettiana, dei conflitti con gli Stuart e dell’effimera repubblica di Cromwell, fino a sancire il netto isolamento, quando non la persecuzione, dei Cattolici dalla vita politica, aggravato dalle vicende tumultuose della Scozia fedele ai giacobiti e dell’Irlanda. Da notarsi è infatti l’endogamia, presente tra i cattolici britannici come all’interno di ogni comunità emarginata, e, percorrendo gli alberi genealogici di alcune delle famiglie cattoliche, non si potrà non notare un ricorrere dei cognomi: Maxwell-Constable, Clifford, Stourton, Petre e pochi altri. V’è inoltre da osservare come, fino al XIX secolo, la professione di fede cattolica fosse ridotta quasi esclusivamente a comunità rurali, in particolare tra la gentry medio-agiata, delle cui peculiari e pressoché immutate tradizioni Evelyn Waugh fornì un ironico ritratto ancora nella prima metà del ‘900.

John Henry Newman (1801-1890)

Il punto di svolta per questa condizione di estraniamento è da porsi tra il XVIII e il XX secolo. All’inizio del 1800, nonostante l’opposizione degli ultratories, fu abolita la legislazione restrittiva nei confronti della comunità cattolica e, al contempo, si sviluppò il Movimento di Oxford, notevole elemento di effervescenza intellettuale all’interno della comunione anglicana. Tra tutti, due dei suoi promotori più rilevanti, Henry Newman e Henry Edward Manning, si convertirono al Cattolicesimo, contribuendo notevolmente al revival cattolico ottocentesco. Di Manning e del suo controverso rapporto con Gladstone, Giles Lytton Strachey ha lasciato un interessante documento nei sui portraits di eminenti vittoriani, mentre Newman è riconosciuto come il maggior teologo cattolico del XIX secolo. Tuttavia il revival cattolico non ebbe, in Inghilterra, forme popolari ma, al contrario, si trattò di un fenomeno che, traendo le sue radici dal mondo universitario, ebbe tutti i crismi dell’elitarismo. Di grande importanza ebbero le conversioni, e non poche furono le conversioni illustri: tanto nel mondo dell’aristocrazia – caso emblematico fu quello del maggior proprietario terriero scozzese, il giovane marchese di Bute, cui Disraeli si ispirò per il suo Lothair -, quanto in quello delle lettere, di cui i già nominati Newman e Manning e, successivamente, Chesterton furono senz’altro esponenti illustri. Proprio l’apporto fornito dalle conversioni rivitalizzò il chiuso mondo della Cattolicità inglese, fornendogli armi intellettuali di non poco conto. Se già l’Inghilterra, per via della sua natura isolana, rappresenta per molti versi un’eccezione ed una voce critica per l’Europa, il Cattolicesimo fu per essa un apporto fondamentale nel potenziarne la coscienza intellettuale.

Basterà dare uno sguardo ad alcuni dei maggiori nomi della cultura anglosassone tra XIX e XX secolo. Il già nominato Newman rappresentò un intelletto teologico di non poco conto ma ad egli, oltre a Lord Acton e al cardinale Wiseman, vennero ad aggiungersi più tardi Chesterton, Hilaire Belloc, Hugh Benson – la cui critica spietata del totalitarismo delle coscienze precedette di diversi decenni quelle fornite da Huxley e da Orwell -, Christopher Dawson – uno degli storici cui l’Europa deve di più in virtù della sua riscoperta delle radici medievali della sua cultura -, Tolkien, Muriel Spark, oltre a due dei maggiori romanzieri inglesi del XX secolo: Graham Greene ed Evelyn Waugh. Thomas Stearns Eliot viene spesso assimilato al Cattolicesimo britannico, sebbene ciò non sia del tutto corretto, in quanto il poeta era un fedele della High Church; dall’altra parte è innegabile la vicinanza di quest’ultima alla Chiesa Cattolica in senso proprio, oltre all’intima adesione di Eliot ad alcune delle più profonde tematiche cui essa si trovò – e si trova – a far fronte.

Di tutte queste undici personalità germogliate a cavallo tra due secoli – Newman, Manning, Wiseman, Acton, Chesterton, Belloc, Benson, Dawson, Tolkien, Greene, Waugh e Spark – solo tre furono cattolici per nascita: Nicholas Wiseman, l’autore di Fabiola, una vicenda ambientata a Roma all’epoca delle persecuzioni, Lord Acton, una delle maggiori voci del liberalismo, ed Hilaire Belloc, un erudito con ambizioni letterarie che, per certi versi, potrebbe essere accostato al francese Léon Bloy. Tutti i rimanenti furono dei convertiti, una caratteristica assai peculiare. Molti tra loro vissero in maniera conflittuale la propria nuova fede: è, ad esempio, il caso di Graham Greene o di Muriel Spark. Tuttavia rappresentarono una linfa vitale senza la quale difficilmente il Cattolicesimo avrebbe potuto non solo sopravvivere, ma anche divenire, grazie alla sua posizione di privilegiato isolamento, una vivace coscienza critica per l’Inghilterra e per l’Europa intera.

[1] La Rocca. Colei che veglia. La Straniera.\Colei che ha visto cosa è accaduto.\Coolei che vede ciò che accadrà.\La Testimone. Colei che critica. La Straniera.\La visitata da Dio, e nella quale è innata la verità.; da T.S. Eliot, Choruses from “The Rock”, traduzione italiana di Roberto Sanesi, Cori da “La Rocca”, introduzione di Piero Bigongiari, commento di Davide Rondoni, BUR, Milano, 1994.

[2] Il termine High Church, sinonimo di Anglo-Catholic, non dev’essere confuso con l’appartenenza alla Chiesa Cattolico Apostolico Romana nel mondo anglosassone. Si denomina in tal mondo quella parte della Comunione anglicana che, pur mantenendo i medesimi credi della Low-Church, la Chiesa episcopale, considera il termine cattolico contenuto nel Credo non come mero sinonimo di universale ma come il nome della Chiesa di Cristo cui appartiene insieme alle altre chiese che mantengono la successione apostolica. Gli anglo-cattolici della High Church hanno dogmi e rituali simili a quelli del Cattolicesimo Romano, oltre che la celebrazione eucaristica come messa.

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Niccolò Nobile

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