Libri. “1915: maggio radioso o colpo di Stato?” di Mola e la svolta nella storia d’Italia

Una manifestazione interventista
Una manifestazione interventista

Ci sono momenti della storia italiana ed europea intorno ai quali gli studiosi continuano a lavorare alacremente. Si tratta di fasi che hanno determinato cambiamenti significativi nella vita degli Stati e degli uomini. Tra essi, per quanto attiene in modo diretto e specifico al nostro paese, va sicuramente annoverato il maggio del 1915, mese nel quale l’Italia entrò trionfalmente nella prima guerra mondiale al canto de “Il Piave mormorava…”. Da allora la storia politica e civile d’Italia cambiò radicalmente. Su tale asserzione convergono un po’ tutti: sia gli storici che giudicano positivamente i cambiamenti seguiti alle radiose giornate sia quanti, al contrario, ne hanno fornito una valutazione negativa. Si sono confrontati su questo tema, in un’opera collettanea di recente pubblicazione,   docenti provenienti da Università europee, esperti militari e pubblicisti di fama. Ci riferiamo al volume curato da Aldo A. Mola, 1915: maggio radioso o colpo di Stato?, da poco nelle librerie per i tipi del Centro Stampa dell’Amministrazione Provinciale di Cuneo (per ordini: 348/1869452, giolitti@giovannigiolitti.it). Il volume raccoglie gli Atti del Convegno internazionale di studi     organizzato sul tema nel 2015 dal Centro Europeo Giovanni Giolitti per lo studio dello Stato.

Le conclusioni dei lavori sono compiutamente sintetizzate, nello scritto che inaugura il volume, dal curatore, al quale si devono anche due interessanti Appendici di approfondimento su specifiche tematiche inerenti la figura di Giolitti. Dalle relazioni si evince che in quella orami lontana tarda primavera, l’eterogeneo fronte interventista combatté una battaglia politica su due fronti, mirata a giungere ad una condanna senza appello tanto del nemico esterno, in primis l’Impero absburgico, quanto del nemico interno, vale a dire Giolitti. Al conseguimento di tali obiettivi essi tesero radicalizzando il confronto politico, dando luogo a manifestazioni di piazza sempre più accese nei toni e nelle richieste, dileggiando i rappresentanti del fronte neutralista. Il governo Salandra, di cui membri di notevole spessore ed influenza furono Sidney Sonnino agli Esteri e Vittorio Zuppelli alla Guerra, fece finta di “non vedere” e approfittò della situazione per mettere in atto una sorta di “colpo di governo”. In senso tecnico, non si trattò di un vero e proprio colpo di Stato, ma di un progressivo processo di surrogazione da parte dell’esecutivo dei poteri appartenenti al legislativo. Il precedente storico di tale azione va rintracciato nella “crisi di fine secolo”, clamorosamente esplosa con i colpi di cannone di Bava Beccaris a Milano. In quella circostanza, uno dei protagonisti del tentativo autoritario, fu proprio Sonnino che, nel suo “Torniamo allo Statuto”, articolo pubblicato sull’Antologia del Visseaux, poneva sotto accusa la lettura costituzionale cavouriana e giolittiana. Allora i liberali riuscirono a sconfiggere il progetto umbertino, nel 1915, invece, furono definitivamente sconfitti.

Quali i momenti più rilevanti del nuovo progetto di esautorazione delle prerogative parlamentari? Esso muoveva dalla certezza di Salandra, firmatario del Patto di Londra, che l’interventismo era minoritario sia nel Paese che in Parlamento. Per questo prima di dimettersi, il governo “assegnò 100 milioni per spese straordinarie al bilancio della guerra e 25 milioni di spese straordinarie a quello della Marina” (p. 10). Con le dimissioni l’esecutivo creava ad hoc una situazione di emergenza,  per proporsi, al momento del reincarico, quale unico soggetto politico in grado di controllarla e contenerla. I fatti precipitarono: otto giorni dopo la firma del Patto londinese, il 3 maggio, fu ufficialmente comunicata ai nostri alleati della Triplice, la denuncia del trattato. In una settimana risultò necessario piegare il Parlamento alla decisione, assunta dall’esecutivo, di entrare nel conflitto. Giolitti, leader indiscusso del fronte neutralista, animato da realismo politico, giunse a Roma il 9 di quel mese, dichiarando fedeltà alla monarchia ma dissenso nei confronti della posizione di Salandra e dei suoi. Il governo decise allora di servirsi della piazza e di fomentare l’estremismo ideologico del fronte interventista, al proprio interno altrettanto eterogeneo di quello neutralista (andava dai sindacalisti rivoluzionari ai fautori di un ritorno all’Ordine tradizionale).

Obiettivo prioritario di costoro era l’eliminazione dalla scena politica di Giolitti. La gravità della situazione, ricorda Mola, fu rilevata da Turati nel discorso parlamentare del 20 maggio. La guerra, a suo dire, aveva già prodotto un primo effetto destabilizzante, aveva abolito la dignità dell’istituto parlamentare. Ciò accadde, nello specifico, quando fu costituita la commissione d’esame presieduta da Boselli, per conferire al governo poteri straordinari in caso di guerra. Per la legge votò solo il 47, 5% dei deputati in carica. Una minoranza. Ma quel che è più grave, e che pochi tra gli storici finora hanno riconosciuto, è che in questo clima maturò l’idea di compiere un attentato mortale contro Giolitti. Chi manovrava nell’ombra per mettere in atto l’attentato? Stando a Mola, il Diario di Ferdinando Martini non lascia dubbio alcuno “Ieri Barzilai mi disse cosa gravissima. Veramente in società segrete s’era deliberata e giurata la morte di Giolitti” (p. 19). Salvatore Barzilai, ebreo, alto dignitario massonico, ministro senza portafoglio nel gabinetto Salandra, era considerato fonte attendibile. Giolitti venne messo sull’avviso e subitamente deliberò di trasferirsi da Roma a Cavour, facendo in modo che, con la ferrovia, a breve lasso di tempo, lo seguisse, debitamente protetta, la moglie Rosa Sobrero che in quel frangente si trovava a Frascati e per la quale lo Statista era in ambasce.

Intanto il governo, ottenuto il reincarico il 18, epurava da incarichi di rilievo giolittiani e “costituzionali” e si preparava alla dichiarazione di guerra del 23. In tutto questo, gli alti comandi dell’esercito ebbero un ruolo secondario. Cadorna fu informato solo il 6 maggio delle reali intenzioni dell’esecutivo e dovette operare in una situazione di evidente difficoltà. Nel frattempo, il vate D’Annunzio, fatto rientrare appositamente in Patria, arringava le folle. Quindi, chiosa Mola alla luce dei risultati ermeneutici cui si è giunti nelle giornate del Convegno, l’età giolittiana in realtà si chiuse con l’ingresso in guerra del 24 maggio.

Questa lettura dei fatti del 1915, fa emergere il ruolo svolto dalle società segrete, in particolare dalla Massoneria, non solo nello destabilizzare gli assetti politici italiani, ma nel precipitare l’Ordine europeo e il suo baluardo, l’Impero degli Absburgo, nel baratro travolgente del conflitto. In questo senso, il volume rappresenta la possibilità che la prima guerra mondiale abbia avuto una funzione sovversiva nei confronti degli assetti tradizionali allora sussistenti. Evola lo aveva compreso. Una lezione da tenere a mente, al di là dal facile patriottismo.

*1915: maggio radioso o colpo di Stato?, di Aldo A. Mola, nelle librerie per i tipi del Centro Stampa dell’Amministrazione Provinciale di Cuneo (per ordini: 348/1869452, giolitti@giovannigiolitti.it)

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Giovanni Sessa

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