L’intervista. Riccardi: “Vi racconto “il prezzo della fedeltà” e il coraggio di Casagrande”

Giuseppe Casagrande
Giuseppe Casagrande

Tutti ricordano Giuseppe Giangrande, l’ex brigadiere siciliano di 53 anni, vittima dell’attentato a Palazzo Chigi, il 28 aprile 2013, durante il servizio di sorveglianza, il giorno dell’insediamento del Governo Letta. Da allora Giangrande, per una lesione irreversibile al midollo spinale, è rimasto paralizzato, muove solo collo e testa; sua figlia Martina, da tre anni, lo assiste amorevolmente. Gli ha sparato, senza una plausibile ragione, se non quella di compiere un gesto eclatante, il calabrese Luigi Preiti. In quella occasione rimane ferito alle gambe anche il Carabiniere scelto Francesco Negri, che aveva istintivamente impugnato la pistola per posarla subito dopo perché la piazza davanti a Palazzo Chigi era affollata e non voleva colpire persone innocenti. A soccorrere i due colleghi il brigadiere Delio Marco Murrighile e l’appuntato Ciro Cafiero. Il primo, con un giaccone forato da un proiettile, è miracolosamente illeso. L’altro applica i rudimenti di primo soccorso al collega più grave, in attesa dell’arrivo del 118. Il resoconto di quella della vicenda è affidato alla penna sensibile del colonnello dei Carabinieri Roberto Riccardi, comandante provinciale di Livorno, giornalista (già Direttore de Il Carabiniere), scrittore di successo (candidato al premio Strega 2014). In un mese e 11 giorni, durante i quali Riccardi si è praticamente insediato in casa Giangrande, è nato Il prezzo della fedeltà (Mondadori).

Roberto Riccardi

L’autore è riuscito, senza pietismi, a fare la cronistoria dell’attentato, a dare voce alla forza d’animo e al coraggio del brigadiere e della figlia Martina, a ricostruire i momenti salienti dell’iter giudiziario che ha portato l’attentatore ad una condanna a 16 anni, in Primo e in Secondo grado, a tracciare un quadro della vita quotidiana di Giuseppe e Martina, tra gioie e dolori, fino a quel 28 aprile. Il titolo del libro, coglie appieno due aspetti, il vincolo di fedeltà tra figlia e padre e il giuramento che lega per sempre all’Arma chi scelga di farvi parte. Il libro, al tempo stesso un saggio giornalistico, un legal thriller e una testimonianza di memoria, pensato per la festa dell’Arma, il 5 giugno, presentato per la prima volta davanti al Ministro della Difesa Roberta Pinotti,  al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti, al Comandante Generale Tullio Del Sette, al Cardinale Giuseppe Betori, sta riscuotendo grande riscontro presso il pubblico. Come racconta lo stesso Roberto Riccardi.

Qual è la genesi di Il prezzo della fedeltà?

“Per la prima volta ho scritto un libro “su commissione”, nel senso che è stata l’Arma dei Carabinieri, nella persona del Comandante Generale, a chiedermi di lavorare a questa storia. Per me è stato un onore, di Giangrande avevo solo sentito parlare e il libro ha costituito un’occasione per conoscere da vicino lui, la sua vicenda e la sua famiglia”.

Lei si è sempre distinto per impegno sociale. I suoi libri, pur afferenti a diversi generi narrativi, la memoria, il giallo, sono connotati da un tangibile empito di responsabilità morale. La funzione dell’arte, ritiene Vargas Llosa, non è «quella di dare risposte, piuttosto quella di formulare domande, di suscitare riflessioni […], lo scrittore peruviano concludeva il suo ragionamento, stabilendo una proporzionalità diretta tra libertà e letteratura, l’arte deve ” lasciare spazio alla libertà” perché senza libertà nemmeno “la vita può germogliare in un’opera di finzione”. Cos’è la scrittura dunque, esercizio di libertà nella consapevolezza della finzione, testimonianza etica?

“Scrivere, per me, è prima di tutto un immenso piacere. Ho amato tale forma di espressione fin da quando, bambino, affidavo a una penna e un quaderno i pensieri e lo sfogo della mia fantasia. Oggi davanti alla tastiera di un computer c’è un uomo maturo, che filtra le riflessioni attraverso molteplici esperienze umane e professionali. È inevitabile che fra le mie pagine finiscano i risultati di questa contaminazione con la vita, come è inevitabile che le voci dei personaggi riflettano il mio modo di sentire. La letteratura non deve essere necessariamente etica o sociale. Nel mio caso lo è abbastanza, spero non sia una colpa grave.”
Nella prefazione del Comandante generale dei Carabinieri Tullio Del Sette, appare un ‘noi’ corale, “non smetteremo mai – è una promessa che manteniamo da due secoli – di onorare le nostre vittime. Di assisterle con l’umanità e l’affetto dovuti a un familiare bisognoso”. È questo il senso profondo del libro?

“È uno dei motivi principali della narrazione. Quella di Giuseppe Giangrande e sua figlia Martina è, per i Carabinieri, una vicenda esemplare. Farne un libro è un modo per onorarla e perpetuarne il ricordo”.

Anche questo, a suo modo, è un libro di memoria.

“Certamente sì, con una specifica che ritengo necessaria. Quando ho iniziato a riflettere sulla stesura del libro, il primo pensiero è stato il seguente: è bellissimo che si faccia una simile operazione culturale, è la prima volta che accade, ma proprio per questo non posso  limitarmi a parlare di Giuseppe e Martina. Nel solo 2013, che a un certo punto definisco “anno nero della famiglia Giangrande”, l’Arma ha contato due vittime e quattrocentododici feriti, più di uno al giorno. Così, praticamente in ogni capitolo, Il prezzo della fedeltà contiene riferimenti ad altri episodi e altre vittime. Il senso è: parlare di uno per parlare di tutti, come avevo già fatto scrivendo la biografia di un sopravvissuto ai campi di sterminio”.

Oltre alla cronistoria del fatidico 28 aprile 2013, la data del ferimento di Giangrande, il libro abbraccia più tipologie narrative: una storia essenziale dell’Arma dalla sua fondazione, un saggio filosofico sul tema del destino, del perdono, della precarietà del male, un legal text sulla procedura penale nel nostro sistema giuridico; compaiono riferimenti al Talmud, Manzoni, Sándor Márai, Brecht. Dunque un’opera composita scritto di getto in pochissimo tempo e con grande soddisfazione…

“Magari suona paradossale, ma avere un termine capestro per la scrittura (ero stretto fra il 31 dicembre 2015, quando ho ricevuto la telefonata del Comandante Generale, e il 5 giugno 2016, Festa dell’Arma e data per la quale si auspicava di disporre del libro) si è rivelata una grande opportunità. Ho scritto con un ritmo e un’intensità mai avuti, ricavando un risultato che ha soddisfatto non solo me, ma anche il committente e la Mondadori. Dai primi riscontri mi sembra che il libro stia piacendo pure ai lettori, ne sono contento”.

Cambia spesso focus narrativo, alterna la terza persona alla seconda persona, sul modello Cronaca familiare di Pratolini, Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino. Il Du Stil è un artificio retorico comune nei testi poetici per stabilire un contatto più immediato con l’interlocutore. Perché questo espediente letterario?

“Ci sono varie ragioni per una scelta stilistica, comprese – nel caso presente – quelle indicate nella domanda. Ma la verità più vera è che chi scrive adotta la forma che sente, come fa un compositore quando inventa un brano. La scrittura è musica, ha un ritmo e un registro, basti pensare all’alternanza di frasi lunghe e brevi, a quando si va a capo, a dove si conclude un capitolo”.
L’abnegazione nel compiere il proprio servizio è l’altro tema portante del libro.

“I valori sono individuali, ma la loro essenza è universale e lo spirito di corpo e la comune formazione portano a sentimenti condivisi. L’Arma dei Carabinieri ha oltre due secoli di storia e gli esempi di abnegazione sono una costante, non può essere un caso”.

Il sacrificio per la Patria, l’orgoglio di essere italiani e la tutela delle Istituzioni sono sentimenti o pratiche che risultano un po’ appannate in quest’epoca. Questo è invece un racconto “patriottico”. Patria e Nazione sono ancora ideali da perseguire?

“L’amor di Patria è un ideale valido nella misura in cui non diventa un eccesso, il nazionalismo ha spesso portato a conflitti e disastri. Ma l’appartenenza, intesa in un senso aperto e corretto, è parte integrante dell’identità di un essere umano. In ogni tempo e luogo”.

Sullo sfondo c’è il tema del perdono. Si può perdonare chi ti ha immobilizzato su un letto per sempre? 

“Non si può pretendere il perdono da chi ha avuto la vita rovinata in conseguenza di un gesto malvagio e immotivato. È questa la conclusione a cui arrivo nel mio capitolo, quando scrivo che perfino Dio, capace di assolvere il lupo, non potrà non assolvere un agnello incapace di perdono”.

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Cecilia Pignataro

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