Cultura. Valentino Zeichen (istriano-romano) poeta tra ironia e candore

Valentino Zeichen
Valentino Zeichen

Il ritratto di Valentino Zeichen firmato da Marco Cimmino

Pur contemporaneo dei più arzigologolati cantori dell’ipocrisia ‘novissima, degli stentati tentativi di originalità dei vari Sanguineti, di tutt’altra pasta si dimostrò il fiumano Valentino Zeichen: forse, ora che è morto, se ne rivaluterà l’opera e, per contraltare, si dimensionerà al giusto quella del’autoreferenziale “Gruppo ‘63” o dei vari aedi del nulla radicalsciccoso, collocandoli nell’opportunità di un solaio, tra le brutte cose di pessimo gusto.

L’impressione che si trae dalla lettura delle opere di Zeichen è quella di un poeta che non ha avuto né la voglia né il tempo di occuparsi delle pinzillacchere cerebral-sentimentali, tanto care alla maggior parte degli autori della sua generazione (Zeichen è del 1938). Poeta di enormi e simpatiche contraddizioni (vivere in una baracca e amare la gourmandise, ad esempio), Zeichen rappresenta un bizzarro misto di ironia e candore, di classicità e di francogiuseppismo, che, con ogni evidenza, derivano dalla sua duplicità geografica, istriana e romana. E ’poeta estraneo assolutamente al mondo ipocrita dei maglioni di cachemire e dei salotti bene dei sessantottini: la sua poesia, semmai rimanda al crepuscolarismo più disincantato, per cui il suo nome, opportunamente, venne associato a quello di Gozzano e di certo Palazzeschi.

Zeichen esordì nel 1974 con la raccolta Area di rigore: è proprio dalla presentazione a quell’opera, dovuta alla penna di Elio Pagliarani, che derivò questa definizione di Zeichen “neocrepuscolare”. Catalogato come “radicalmente antilirico” dai soliti Cucchi e  Giovanardi, noi, invece, troviamo che vi sia, in Zeichen, una forma di lirismo del tutto particolare: quello che definiremmo lirismo esorcistico, col quale il poeta mimetizza se stesso, per non mostrarsi nudo, perché troppo sensibile, troppo infanciullito. Ci pare analogo il caso di Guido Gozzano e della sua inarrivabile scherzosità, che lo portò ad ironizzare perfino sula propria malattia: uno straordinario esorcismo. Non, quindi, un’incoscienza, ma una superiore coscienza porta a certe scelte poetiche determina una poesia che è narrativa nei contorni, ma radicalmente lirica nell’intimo. Si veda questa poesia (Il poeta) della prima raccolta di Zeichen, e la si confronti con la celebre “Alle soglie” di Gozzano: si noterà che molto le accomuna, a partire dal dato clinico, per finire col disincanto.

Presumibilmente,

sembro un poeta di elevata rappresentanza

sebbene la mia insufficienza cardiaca

ha per virtù medica il libro del “cuore”

Abito appena sopra il livello delmare

mentre la salute, la purezza, la ricchezza

e gli sports invernali

stazionano oltre i mille metri

Perciò mi ossigeno respirando l’aria

dei paradisi alpini

così arditamente fotografati

degli scalatori sociali

nonostante la pericolosità dei dislivelli

Non c’è nulla da fare: Zeichen è simpatico. Si vede che era fatto di un’altra pasta, rispetto alla spocchia pseudoerudita dei poetonzoli à la page. Nei suoi versi c’è, sicuramente, un solido riferimento culturale: ma c’è anche anima, un senso dell’ironia e, perché no, del ridicolo, da Pierino. La sua è una poesia giovane, senza scimmiottare i giovani col giovanilismo. Questo breve frammento di Apocalisse per acqua (poesia tratta da Gibilterra, 1991) confrontato con la insopportabile prospopea sanguinettiana, è davvero significativo:

All’attuale tasso demografico,

fra un secolo in Europa, di bianco

rimarrà solo il bucato.

Concetti politicamente scorretti, come si vede: forse, anche per questo, in un coro a cappella che ripete sempre le stesse litanie, stabilite da un politburo, noi preferiamo la vitalità sincera di Valentino Zeichen. Si veda, qui di seguito, uno dei temi più cari alla poesia di regime, quello del dopoguerra comunista, accoppiato al catastrofismo ecologico, e manipolato dal poeta con un senso comico gradevolissimo. Il frammento proviene sempre da Apocalisse per acqua, ed è il numero 4.

In culo al mondo, al polo Sud,

il monossido di cloro delle bombolette

divora il nobile ozono,

aprendo una voragine in cielo.

Con sprezzo del pericolo, voi,

seguitate a usare gli spray,

incuranti dei raggi ultravioletti

che altereranno, in un apocrifo,

il libro della Genesi,

mutando le specie terrestri.

La filosofia del consumismo

ha convertito i suoi rifiuti

in sotterraneo Nichilismo.

Se, da neonati e sopravvissuti

Alla seconda guerra mondiale,

vi foste configurati per un istante,

un’immagine dell’attuale mondo,

avreste barattato la sua salvezza

con un’immane catastrofe storica:

la conquista sovietica dell’Europa,

pur di rimandare quella naturale

di almeno quarant’anni,

confidando nell’involontaria complicità

di quei deprimenti modelli di sviluppo

della teoria economica dell’URSS.

Oggi direste: “mi tufferò in quel mare pulito del 1947”

  “Niet, è ancora infestato di mine tedesche”.

Per chi fosse incuriosito da questo poeta scomparso e volesse, almeno in chiave postuma, prendersi la briga di leggere dei versi che vadano oltre il solito bric à brac indigeribile dei moderni e modernissimi, le altre raccolte di Zeichen sono: Ricreazione (1979), Pagine di gloria (1983), Museo interiore (1987), Metafisica tascabile (1997), Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio (2000) e la raccolta Poesie 1963-2003 (2004).

@barbadilloit

Marco Cimmino

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