Cultura. Leo Longanesi, cultura e ironia dell’universo della destra perbene

Leo_Longanesi_1956Pubblichiamo un ritratto di Marcello Veneziani sull’inattualità di Leo Longanesi

Leo Longanesi fu breve: breve nella statura, nel nome; nella prosa, perché si esprimeva con aforismi; nella conversazione, con battute folgoranti; fu breve, purtroppo, anche nella vita. Vorrei, dunque in breve, sostenere una tesi in apparenza cornuta e cioè che Longanesi è più vivo e più inattuale che mai. E le due cose non sembrino in contraddizione.
Longanesi ha tentato un progetto culturale, civile e giornalistico che oggi non viene valutato nella sua pienezza. Abbiamo visto in occasione della bella antologia curata da Pietrangelo Buttafuoco, Il mio Longanesi, un diluvio di articoli che ripetevano fino a renderle quasi antipatiche, le sue dieci famose battute. Al di là dell’effervescenza di Longanesi, c’era però un progetto.
Longanesi tentò, soprattutto nel dopoguerra, di far nascere in Italia uno spirito conservatore attraverso il progetto di un “Italiano in Borghese”, volendo sintetizzare due sue famose testate. Il suo fu un tentativo di dare dignità, cultura e anche ironia frizzante a un arcipelago piuttosto spento e trombone, l’universo conservatore, liberandolo dal clericalismo, ma non affrancandolo dal cattolicesimo che Longanesi coniugava allo spirito mediterraneo, solare, duttile e vivace. Longanesi cercava di dare anche una dignità ed una consapevolezza del suo ruolo sociale, storico e culturale alla borghesia.

Da anni parliamo delle fragilità della borghesia italiana. Longanesi cercò di darle all’epoca un’anima, un’intelligenza e un volto e vi riuscì nel corso dei suoi anni attraverso le sue pubblicazioni. Non ebbe giornali di grandissima tiratura, “Il Borghese” non ha mai superato le 20-25 mila copie quando era diretto da Leo Longanesi; sfondò solo dopo, con Mario Tedeschi. Questo dimostra quanto sia stato elitario, un po’ come “Il Mondo” di Pannunzio; ma dall’altra parte fa emergere quanto sia stato difficile far nascere una rivista vivace ma di buon gusto che avesse quella finalità, quel disegno editoriale e civile.
Ci fu anche in lui un tentativo di tradurre il giornalismo in politica, attraverso il mito del giornale-partito, come poi tentarono di fare su altri versanti anche Eugenio Scalfari e in parte lo stesso Montanelli, poi la nascita dei famosi circoli de “Il Borghese”, in tutta Italia che ottenero un fragoroso insuccesso. Perché? Perché l’ipotetico partito conservatore italiano di Longanesi era un partito profondamente impolitico, i cui soci erano in realtà o clandestini o dimissionari, nel senso che non accettavano di entrare in un partito, odiavano tutti i partiti, compreso il proprio. E questa credo che sia un po’ la tara del conservatorismo italiano. Tuttavia Longanesi perorò la causa di ‘un italiano in borghese’. Siamo passati da decenni di borghesia che si è vergognata di essere tale (il mito del ‘radical chic’ nasce proprio da una borghesia che rifiuta di essere borghese e vuol liberarsi dalle sue tradizioni, i suoi stili di vita, il suo status civile, morale e culturale) e, dall’altra parte, da una italianità che rifiuta di essere italiana e imita modelli internazionali, russi per un periodo, americani per un altro o meglio ambedue, e ora aspira ad essere global.

Ne è emersa l’impossibilità di far nascere ‘un italiano in borghese’ nel nostro paese perché da una parte ci si vergognava di essere italiani e dall’altra ci si vergognava di essere borghesi. Emerse quest’Italia centrista ed egocentrista, moderata ed estremista, che già Longanesi fotografò; questa Italia che non sa che farsene della destra e della sinistra, e va avanti, come diceva lui, “ad acquasanta e acqua minerale”. Oggi l’acquasanta è il politically correct. E colse nel segno anche con l’acqua minerale perché noi siamo l’unico paese che ha inventato l’acqua minerale centrista, né liscia né gasata, la mitica via di mezzo o terza via ad uso idrico. In questo credo che siamo stati fedeli all’intuizione longanesiana di paese centrista e di un paese che, come diceva lui, è “formato da estremisti per prudenza”; oggi dovremmo anche aggiungere un paese di moderati per cinismo. Oggi diremmo renzogrillini. Il boom economico già trasformò la borghesia in ceto medio, grande bestione sempre più grosso, un cetaceo più che un ceto. La borghesia s’involgarì, fu status di consumo e non di valori, di costume e cultura. L’unica residua borghesia colta, leggermente razzista, di un razzismo etico, è quella che rinnega se stessa, mediante la scelta radical.

Da qui il naufragio di Longanesi e la sua assoluta inattualità. Alla fine ha trionfato quello che Longanesi chiamava “l’uomo biscotto”, cioè l’uomo dalla testa così labile che se lo intingi in una tazza di latte si scioglie. E’ lui il conformista.
Non facciamo di Longanesi una specie di Gramsci. Longanesi fu semmai un anti-Gramsci perché il suo progetto non fu quello di organizzare la cultura, ma di disorganizzarla, di liberarla da ogni ceppo militante di organizzazione. Anche in epoca fascista, tanto più allineata apparve la cultura longanesiana ai dettami di regime, tanto più disorganica, vivace e scapigliata fu nella prassi e nello stile. E ancor più nel dopoguerra; Longanesi pensò a uno stile, un gusto, un’estetica, non sognò la nascita di una borghesia ideologica, compatta e simmetrica al comunismo e alla sinistra. Fautore dell’ordine, Leo si distinse per il suo disordine creativo.
Pur cogliendo con fiuto animale il senso delle cose attuali, Longanesi fu uno straordinario inattuale, uno che oggi non avrebbe spazio. Molti dicono “Ah, ne avessimo oggi di Longanesi”, ma vi assicuro che se ci fosse, per caso, qualche Longanesi in giro, sarebbe chiuso in un cesso o al più scriverebbe i margini, su un giornale di serie B o sul web, ignorato dalla Stampa e Propaganda. Sarebbe trattato peggio di come fu trattato Longanesi, visto con diffidenza dai grandi giornali e dai grandi editori, e detestato dalla grande cultura di questo paese. Ma sotto sotto lo ammiravano, lo leggevano, lo consideravano. Oggi temo che non accadrebbe neanche questo. Longanesi sarebbe pienamente riconosciuto nella sua inattualità, e quindi scansato. Questo è il trionfo e al tempo stesso la sconfitta di Leo Longanesi.

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Marcello Veneziani

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