Calcio. Higuain dopo il record di Nordahl la sfida della Copa America

Higuain
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Supera Nordahl facendo Parola. Gonzalo Higuain stabilisce il nuovo record di gol segnati nel campionato italiano, superando i trentacinque di Gunnar Nordahl – calciatore svedese del Milan – che resisteva dal campionato 1949-50, siglando il sorpasso, la trentaseiesima rete, con una rovesciata alla Carlo Parola, sì, l’acrobata col pallone che campeggiava sugli album Panini. Unire due miti in un solo gesto non era facile. Ai confini della realtà con una sceneggiatura da Spielberg, l’attaccante Higuain entra nella storia soffrendo, e sotto una pioggia “Malacqua” che per una volta regala a Napoli solo uno smottamento emotivo, nessuna tragedia ma gioia che dagli occhi dell’attaccante argentino arriva sugli spalti del San Paolo e poi esce propagandosi per le strade, divenendo pure orgoglio, quello di avere finalmente il miglior giocatore del campionato e tra i migliori del mondo. Il gol in rovesciata da Parola a Pelé (indimenticabile la sua, seppure per il cinema in “Fuga per la vittoria” di John Huston, finzione divenuta canone) passando per Rooney – che ha segnato la più bella stilisticamente degli ultimi anni – è uno status: chi si eleva per calciare in acrobazia il pallone al di là delle proprie spalle conosce geometrie che i portieri ignorano; cercando la massima trasgressione nell’impossibilità di girarsi – il famoso e annoso problema di – uscendo dall’impaccio con una mossa che accomuna Bruce Lee e Jorge Luis Borges: azione e immaginazione, funambolismo e stile; il resto sono applausi e stupore. Se poi con “il gesto” dispari si segna “il gol” allora tutto diventa romanzo, e se a questo colpo di scena si aggiungono le difficoltà del primo tempo, con un Frosinone barricato in due camere e cucina, dove tutti cercavano Higuain per fargli mettere il pallone alle spalle di Massimo Zenildo Zappino (nome da Osvaldo Soriano) senza riuscirci, e poi quasi come un fatto secondario o un incomodo cercavano anche un gol qualunque che riportasse il Napoli sopra la Roma per entrare in Champions League.

Quando Hamsik ha segnato sciogliendo la partita modello sangue sangennaresco, si è capito che la missione aveva tutto il secondo tempo per essere portata a termine. Salvare il soldato Higuain dal fiasco, lanciarlo oltre il confine dei 35 gol o almeno fargli bussare al pareggio di reti col gigante svedese Nordahl. Così i gregari Allan, Hysaj e Mertens hanno pedalato per lui, polmoni e gambe e cuore, e dietro Ghoulam, Insigne, Callejon e Hamsik pure, una vera squadra di ciclismo per portare al traguardo Higuain – non è un caso visto l’albero ciclo-genealogico di Maurizio Sarri: padre del cambiamento higuainesco e destinatario dell’abbraccio post-record. E adesso? Il romanzo direbbe tutti al Tour de France, invece no, Gonzalo Higuain vola negli Stati Uniti per una Copa America speciale, quella dei cento anni, che infatti si gioca un anno dopo quella vinta dal Cile, e soprattutto quella del rigore sbagliato dall’attaccante argentino, che fece piangere Lavezzi e Buenos Aires, in un fine estate con tempesta, pieno di fantasmi e di giorni bui. Lo sconsolato Gonzalo ha poi trovato la forza di dimenticare il Cile e rimettersi – immenso e intenso – a segnare, rigori e non, fino appunto ad oggi, al record, che gli permetterà di arrivare al cospetto di Martino, l’allenatore della nazionale argentina, come Frank Sinatra al Madison Square Garden. Portandosi dietro il crescere dell’entusiasmo che da Napoli arriva a Buenos Aires, dal San Paolo al Monumental, e che gli consente di giocare tranquillo davanti a Lionel Messi. Conquistata Napoli e convinta l’Italia ora gli toccano l’Argentina e gli Stati Uniti. L’ultima volta che hanno vinto una Copa America c’erano Batistuta e Simeone, era il 1993 si giocava in Ecuador e batterono il Messico, poi solo finali e sconfitte, tre per la precisione, senza riuscire a tornare a casa col trofeo. Questa è l’edizione del secolo (1916-2016), e l’Argentina ha in assoluto la squadra più forte, quella di una generazione di fenomeni ai quali manca la definitiva consacrazione. Ha perso due finali di seguito: mondiale e Copa America, un po’ per mancanza di gioco – è sempre difficile far convivere un mucchio di campioni per giunta argentini, la quintessenza dell’orgoglio al singolare – un po’ per indolenza, dovuta alla supremazia sulla carta che però si disperde nel campo, ma proprio l’allenatore dell’anno: l’argentino Diego Simeone, a Madrid – sponda Atletico –, sta insegnando al mondo del calcio che le vittorie bisogna scavarle e che i più forti devono perdere (testimonial Pep Guardiola). Higuain può essere il calciatore che contagia gli altri, il portatore sano di gloria, il trionfatore con la fronte imperlata di sudore e la faccia da bimbo incredulo dopo l’impresa storica: cancellare sessantasei (66) anni di dittatura Nordahl. Che Higuain fosse il prescelto lo dicevano già gli oroscopi di Raymond Domenech, CT francese, che tentò in tutti i modi di usare la nascita francese dell’attaccante argentino. Quello che non sapeva Domenech e che soprattutto non dicevano i suoi oroscopi è che c’era un precedente illustre, Carlos Gardel, padre della patria e della legge non scritta: un argentino è un argentino ovunque – il resto l’ha fatto Diego Armando Maradona esercitando la sua autorità prima che di CT della nazionale di co-padre della patria proprio con Gardel, Ernesto “Che” Guevara ed Evita Peron, chiamando Gonzalo Higuain in nazionale in zona Cesarini (Renato, italo-argentino specializzato in ultime chiamate).

La sera del debutto in nazionale, contro il Perù, Higuain segna, anche se tutti guardarono al secondo gol dell’Argentina, quello di Martin Palermo che salvò Maradona e paese, panchina e qualificazione mondiale. Era un gol alla Higuain: l’azione parte da Messi – ha i capelli lunghi ed è davvero una pulce – che la passa ad Aimar che fa l’Hamsik e inventa un corridoio in mezzo all’area che Higuain – senza barba – vede prima di tutta la difesa peruviana,  fa sfilare il pallone fino al suo destro e lo piazza nell’angolo opposto di Leao Butron. Pioveva tantissimo, quella sera, una pioggia da “Cent’anni di solitudine”, ma la passione della squadra maradoniana oltrepassò i limiti tattici e meteorologici. Poi venne il mondiale sudafricano, e Higuain che doveva giocarsi il posto con Milito, segnò una tripletta (uno dei tre persino di testa) alla Corea del Sud, e portò la squadra di Maradona agli ottavi. Il mondo aspettava i gol di Messi e invece arrivarono quelli di Higuain, che eguagliò due grandi argentini che avevano siglato una tripletta al mondiale Guillermo Stabile e Gabriel Batistuta. Segnò anche nella partita dopo, tra due gol di Tevez, superando il Messico; dopo arrivò la Germania e si videro tutti i limiti difensivi dell’Argentina. Nell’altro mondiale, quello brasiliano del 2014, segna il gol al Belgio, che porta l’Argentina in semifinale – mancava da Italia ‘90 –  una mezza girata al centro dell’area, di esterno destro, imprendibile per Thibaut Courtois. Poi in finale, mancò due occasioni contro Neuer, gli annullarono un gol per un fuorigioco, il resto è ancora Copa America, Cile e rigore sbagliato, prima aveva segnato solo due gol (Giamaica e Paraguay). Higuain può dire di aver sbagliato i suoi canestri tutti in partita, come raccontava Michael Jordan quando le cose andavano bene e si schermiva ricordando i novemila errori fuori dalle gare. Ora non può e non deve sbagliare, ha l’occasione per diventare il leader della nazionale argentina, riscattare il suo paese che uscì dagli Stati Uniti con una grande ingiustizia, quella ai danni di Maradona. Deve cercare l’acuto epocale, proprio come ha fatto con la rovesciata contro il Frosinone, l’acuto impossibile, quello assoluto. Deve fare il possibile per diventare l’interprete del gol nella Copa come lo è stato nel campionato italiano: non accontentandosi. (Il Mattino)

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Marco Ciriello

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