Libri. “Scritti giornalistici” di Renzo De Felice e il coraggio dello storico

Renzo De Felice
Renzo De Felice

Il confronto si è riaperto. La recente pubblicazione degli ‘Scritti giornalistici’ di Renzo De Felice e le previste uscite di altri due testi – ‘I nemici dello Stato di diritto 1977/1987’ e ‘La revisione della Resistenza 1987/1996’ – consentono di riflettere sul grande storico a venti anni dalla scomparsa. Con la tranquillità critica dei nostri giorni post-ideologici, riteniamo che l’insegnamento defeliciano abbia il suo punto di forza nel contatto diretto con le fonti storiche. Nelle università, nei manuali, nelle case editrici, il raffronto organico con i documenti appare un esempio trasmesso dallo storico reatino. Inoltre, c’è una domanda frequente: cosa ricorda il pubblico di uno storico che uscì dal coro delle storiografie? Il ricordo dice che egli è stato un uomo fuori dalle consorterie universitarie e questo esprime un’esemplarità straordinaria di fronte al mondo universitario contemporaneo composto di combriccole.

Troppe volte il lavoro degli storici è stato condizionato o dalle tesi dei vincitori o dai potentati di ogni genere. Ma la vera ricerca storica ha sempre avuto il coraggio per superare i condizionamenti culturali o per andare laddove nessuno ha guardato. E De Felice ha guardato coraggiosamente al Fascismo, cioè ad una storia italiana che, per alcuni, doveva essere dimenticata. Con queste premesse lo storico dovrebbe scoprire il passato, senza farsi condizionare dalle egemonie culturali. Come ha fatto De Felice che, iscritto al Pci negli anni cinquanta, esce dal partito dopo gli eventi ungheresi del 1956, per avviare una carriera di libera ricerca.

Prima di tutto, il giovane ricercatore che studia De Felice si confronta con un metodo. Impara il libero uso delle fonti storiche; entra veramente nei racconti di tutti i testimoni; segue le incertezze dell’uomo Mussolini dinnanzi alla sua società; afferra che il fascismo fu movimento multiforme, cioè: un’idea illuministica della rinascita sociale?, una reazione dei ceti medi emergenti?, un movimento politico post-socialista?, un regime statale  restauratore? Ecco De Felice ci ha insegnato la complessità storica. Lo ha fatto attraverso le sue formule che generarono idee geniali – studiate da tutta la storiografia – come quella del 8 settembre il giorno in cui muore la patria o come quella della Resistenza, in quanto fenomeno sociale poco esteso nel paese, tra il ’43 e il ’45.

Questa vicenda intellettuale è avvenuta grazie ad una personalità riservata, persino timida, pronta ad esprimere coraggio al momento giusto. Egli è stato uno storico italiano famoso a livello internazionale, anche per questo il mondo universitario gli ha dichiarato guerra. Nei suoi confronti i giudizi dei colleghi, come Tranfaglia o Cantimori, sono oggi impolverati. La sua opera invece continua ad essere ristampata; il suo Mussolini resta ancora un successo editoriale; le interviste, curate quest’oggi da Luna Editrice, dimostrano il vivo interesse per una ricerca incriminata di apologia al Fascismo, una ricerca che al contrario ha liberato la storia dagli ideologismi.

C’è sempre un tomo defeliciano nelle librerie, nelle scuole, nelle biblioteche. Qui è facile trovare ‘Mussolini il rivoluzionario’ o ‘Mussolini il fascista’. E proprio nella prima pagina del ‘Mussolini il fascista’ è possibile accorgersi, attraverso quattro semplici proposizioni, della grande laicità di una impostazione critica,

“Che in occasione degli avvenimenti del ’20 Mussolini avesse riportato un successo è fuori di dubbio. La natura e la misura di questo successo però erano meno imponenti di quanto si potesse credere a prima vista: non tali da sancire definitivamente il valore politico e storico della scelta operata. Perché questa divenisse veramente tale occorsero ancora dei mesi e fu indubbiamente in gran parte merito di Mussolini averla saputa padroneggiare e guidare.”

*’Scritti giornalistici’ di Renzo De Felice, Luni Editrice, 2016, a cura di Giuseppe Parlato

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Renato de Robertis

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