Artefatti. L’epopea futurista di Depero, il mondo è finito in una bottiglia

7_low_Fortunato_Depero_The_New_Babel_plastic_and_mobile_stage_setting_1930_Fortunato Depero, nato a Fondo il 30 marzo 1892 e morto a Rovereto il 29 novembre 1960, è stato un genio e ciò che viene dopo è un categorico punto. Fosse nato in Francia o negli Stati Uniti, la questione sarebbe di rilevanza planetaria, mentre purtroppo l’ovina cultura italica ne tratta banalmente, relegandone l’esperienza geograficamente lassù in Trentino e temporalmente nei bizzosi capricci del ventennio. Pittore, scultore, inventore, artigiano, scenografo, stilista, pubblicitario e molto altro, fu uno dei firmatari del manifesto dell’aeropittura e rappresentante tra i più originali del Futurismo. Ingegnoso e pragmatico, assai meno utopista di altri sodali avanguardisti, egli si distinse per il tratto geometrico iconico, assolutamente inconfondibile, tanto risultare immediatamente riconoscibile anche all’occhio profano. Complice la pubblicità, su tutte il sodalizio con Campari che passò alla storia della comunicazione popolare, Depero riuscì dove altri fallirono, ovvero nell’intento di raggiungere le masse con lo strumento dell’arte moderna. Si badi bene, ciò accadde “in presa diretta” e non grazie al blasone conferito postumo dalle pedanterie critiche. Per comprendere appieno questo incredibile risultato, occorre contestualizzare quattro passaggi fondamentali.

Trento – Fortunato Depero, pur restando indissolubilmente legato al clan rinnovatore di Marinetti, si distinse proprio per un approccio artigianale all’arte, che ne mise in risalto le connotazioni localistiche. A differenza di altri futuristi, proiettati verso il mito della velocità e della rimodulazione spaziale (Il Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo), il giovane Depero s’industriò per una produzione essenzialmente connessa alla tradizione manifatturiera trentina. Le marionette ed i folletti del folklore locale saranno spunto primigenio per l’anonima veste dell’automa metropolitano, in un immaginario impersonale – assai imitato da innumerevoli epigoni – dove l’uomo si fa ingranaggio metafisico del progresso. Certo, l’estrema sintesi plastica, le geometrie massimaliste d’ispirazione costruttivista ed i riferimenti teorici marinettiani, traslarono quell’immaginario, microcosmico ed identitario, nella sfera dei nuovi linguaggi novecenteschi. Tuttavia, come ben evidente nei giocattoli e negli arazzi, il codice naif della montagna, sublimato nell’utilizzo di materiali poveri, pare più rivisitato che superato. Degni di nota il manifesto per la visita in trentino di Marinetti e la copertina del mensile Dinamo Futurista; negli anni ’80 verranno ripresi dal grafico Peter Saville per due cover-art, destinate ai dischi dei New Order Movement e Procession.

L’America – Viene in mente il capitolo del Viaggio al termine della notte di Céline, allorquando Bardamu sbarca negli States: “Figuratevi che era in piedi la loro città, assolutamente dritta. New York è una città in piedi. Ne avevamo già viste noi di città, sicuro, e anche belle, e di porti e di quelli anche famosi. Ma da noi, si sa, sono sdraiate le città, in riva al mare o sui fiumi, si allungano sul paesaggio, attendono il viaggiatore, mentre quella, l’americana, lei non sveniva, no, lei si teneva bella rigida, là, per niente stravaccata, rigida da far paura”. Ecco, per Depero – a quell’epoca spesso ritratto in papillon e sigaretta – dev’essere stato un approccio simile, con l’apoteosi sbalorditiva del nuovo mondo che si spalancava innanzi a divenire appunto plastico, ispirazione d’importazione per ritorno in Italia, negli anni ‘30. Le réclames, i ritmi frenetici, il jazz furibondo dei negri, la metro congestionata, i grattacieli svettanti che concretizzavano le utopie di Boccioni (La città che sale) e Sant’Elia (La città nuova), finiranno direttamente nell’immaginario baloccante, in fondo fanciullesco, dell’artista trentino, arricchendo quel presepe sinottico di inedite suggestioni.

La pubblicità – “Stop stop stop, basta con questo rumore del cazzo per favore. Che c’è che non va? Non c’è niente che non va con la batteria, soltanto che la gente suona in questo modo da circa 20.000 anni, e bè… francamente mi sono rotto. Ora cerchiamo solo di fare qualcosa di semplice, più veloce ma più lento”. Questo sfogo del produttore Martin Hannett nel 1979, in studio alle prese con l’identità sonora dei Joy Division ancora incerta, riassume la ciclica tensione verso il nuovo, l’urgenza espressiva contrapposta solitamente allo sterile virtuosismo di uno stile al tramonto. Ebbene, l’approccio stilistico di Depero alla pubblicità non fu così dissimile; traghettando l’arabescata estetica tardo ottocentesca – liberty e poi déco da scatola di biscotti – in un funzionale irrigidimento delle forme, egli contribuì alla diffusione popolare della rinnovata creatività italica. Forse citando l’uomo di latta de Il meraviglioso mago di Oz, l’artista trentino si trasforma in demiurgo, spogliando la figura da ogni elemento sensibile. Lo squadrato teatrino ludico, sintetizzato da Depero, troverà massima esposizione grazie ai progetti realizzati per conto di Campari. Basterà rilevare qui l’incredibile attualità della bottiglietta della soda – un bicchiere capovolto riprodotto industrialmente – che anticipa di quasi trent’anni l’arte della riproducibilità warholiana, oppure la poetica imbullonata del Dinamo Azari, elegantissimo esempio di “Do It Yourself” ed atto fondativo del moderno libro oggetto.

 

Il Fascismo – Fortunato Depero, come la quasi totalità degli artisti italiani operanti durante il ventennio fascista, contribuì convintamente al rinnovamento estetico voluto dal regime, essenzialmente collegato ad un imponente programma di opere pubbliche. Senza mai tradire il proprio segno grafico, anzi instillandone la sintesi quasi scultorea nella grafia ufficiale, egli si pose in contrapposizione formale con quanto andava realizzando Mario Sironi. Se quest’ultimo rappresentò infatti il monumentalismo tragico ed espressionista, degno di farsi manifesto novecentista, Depero ribatté con un ottimismo a tratti ingenuo, incline ad una gioiosa trasfigurazione del laborioso quotidiano, particolarmente funzionale negli “anni del consenso”. L’effervescenza creativa, assai lontana dal plumbeo e post-classicheggiante immaginario sironiano, ne rende buffa l’adesione al regime, tanto da trovare espressione elevata solo in qualche raro caso, come ad esempio nel mosaico Le professioni e le arti realizzato all’EUR, non distante dall’iconografia del film Metropolis (Fritz Lang, 1927). Questo perché la suggestione fumettistica, o guardando più avanti “da Legoland”, di Depero, resta avulsa dalla retorica tanto quanto quella di Sironi, ma per motivazioni diametralmente opposte: il primo, infatti, preconizzò la fine di un’epoca, mentre il secondo anticipò codici tuttora assolutamente contemporanei.

 

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Donato Novellini

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