Cultura. “Altri canti di Marte” di Isotta, l’amore è musica nei cieli di Dio

isottaÈ bello poter pensare: Coeli enarrant gloriam Dei.

Altri canti di Marte è l’inno all’amore che il genio di Paolo Isotta dedica alla musica e alla vita e dove infonde ingegno, pazienza e scrupolosissimi studi. Costituisce l’ideale secondo atto di quella che, si spera, possa essere (almeno) una trilogia. È un libro, Altri Canti di Marte, che non è da tutti ma, allo stesso tempo, è per tutti. A patto, sempre, di rinunciare ai tic isterici della post moderna, ça va sans dire.

Edito per i “Nodi” di Marsilio, il libro rappresenta, come detto, il prosieguo de “La Virtù dell’Elefante”, il capolavoro cattolico di cui già parlammo qualche tempo fa. Isotta qui si fa magister, nel senso autentico (e classico) della parola. Assume la responsabilità di mettere a giorno il lettore sui fatti nuovi e rivisti che narra nell’opera precedente (quali la diversità di vedute che l’ha allontanato da Riccardo Muti e l’affinità intima e insospettabile che sente tra i popoli di Napoli e delle Russie) ma ancor di più si prende l’onere di ripristinare nella sua dimensione la cultura e la sua trasmissione, scippandola dalla prigionia del “bene di consumo” in cui l’hanno relegata i simpatici ammiccatori che vanno per la maggiore. Isotta, in questo è più che benemerito, tratta chi legge come un essere umano compiuto e completo e pensante, un interlocutore vero e non come un imbecille a cui spillare denaro.

Questa è concezione autenticamente rivoluzionaria all’epoca dei manualetti for dummies (per incapaci, per impediti, per cretini traducete come più vi piace) che con la pretesa di illustrare ciò che sta in alto attraverso gli strumenti del “basso”, fanno cassetta di incassi ma diseducano il lettore al rispetto di se stesso, del prossimo e della cultura stessa. Non ci sono ammiccamenti, vero. Ma nemmeno c’è pedanteria nè professoralità noiosa: lo stile, cristallino e al tempo stesso grande come pochi ai tempi d’oggi, non è quello dell’autocompiacimento di sè, seconda e tragica malattia di chi pretende di far divulgazione in quest’era caotica. Leggere Altri Canti di Marte è come passeggiare tra i portici del Liceo senza sentirne la pesantezza. 

Isotta attraversa i grandi della musica e li studia – in maniera rigorosa e coerente – col lettore, offrendo a chi legge il messaggio autentico che questi hanno voluto lasciare in eredità, spesso in antitesi con quanto la vulgata ha voluto sempre raccontare. Beethoven, immenso, viene restituito alla luce e si scopre che il Fidelio è molto di più di un’opera atea e pessimista, anzi ne può rappresentare sicuramente il contrario. Wagner, grandioso, lo è ancor di più se il Parsifal è letto nella prospettiva del riscatto, della redenzione che alla fine dei Tempi arriverà insieme col perdono. La grandezza di Gino Marinuzzi, Ottorino Respighi e Franco Alfano risplende col contrappunto di Guglielmo Zuelli, insieme alle gemme preziose (e misconosciute) del Novecento, George Enescu e Karol Szymanowski è opera meritoria che sottrae all’oblio dei veri e propri campioni d’arte e di umanità. Le altezze cui si riesce a giungere sono vertiginose e Isotta è guida sicura e preziosa attraverso le selve accecanti e al contempo oscure della musica che, linguaggio divino, necessita per spiegarsi di interpreti devoti e profondamente sensibili.

C’è in questo sforzo letterario prodigioso, una professione che dà senso a una vita poliedrica, quindi il più grande atto d’amore che già il titolo annuncia: “Altri Canti di Marte” è verso tratto dalla grandissima poesia napoletana di Giovan Battista Marino e, come spiega la seconda di copertina, il “canti” è congiuntivo esortativo non un sostantivo qualsiasi. Fuori da quest’opera le mondanità, le polemiche, gli scontri e pure le piacionerie che vanno tanto di moda oggi. Fuori le piccinerie, abbasso il culto della mediocrità (ch’è cosa diversa dall’aurea mediocritas e su tale orribile equivoco si tiene insieme troppo marcio del nostro disperato tempo). È un atto d’amore – dice l’autore – alla vita e alla musica. Sublimata in quello supremo che sta, appunto, nella trasmissione dello stesso amore, nel magistero onesto che è consegna (non è mica per caso che questa parola ha nell’etimo il termine latino traditio che appunto consegna vuol significare).

Non c’è spazio ai fraintendimenti, nè può esserci quando la tradizione si compie in poco più di 400 pagine. Pure le parti che paiono slegate, in realtà, sono precisi movimenti che contribuiscono a render grande la sinfonia: i delfini devono essere liberi di vivere nel mare, i castori devono continuare nella loro ingegneria idraulica, l’uomo è erede e non artefice della natura che canta la gloria dei Cieli. E perciò deve tendere all’assoluto, percorrendo – nel senso giusto, integrale e virile e rispettoso della propria condizione transeunte eppure eterna – il ponte col divino che è la musica.

*Altri canti di Marte di Paolo Isotta (pp. 450, 20 euro, Marsilio)

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Giovanni Vasso

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