Artefatti. Nicolàs Gòmez Davila, se è nel veleno la strada che porta a Dio

ngd1Sfogliando il Dizionario di letteratura a uso degli snob, scritto da Fabrice Gaignault e pubblicato in Italia da Excelsior 1881, tra i vari elegantoni ordinati in rigoroso ordine alfabetico, ci si imbatte in un personaggio curioso e poco conosciuto, in un reazionario talmente implacabile e regressista da risultare simpatico pure ai paladini del sol dell’avvenire. Tradizionalista di certo oscurantista, ma colto e raffinato, tanto da venire catalogato (a torto) tra gli eccentrici, ricevendo pure i complimenti da Garcìa Màrquez: “Se non fossi comunista, penserei in tutto e per tutto come lui”. Trattasi del moralista colombiano Nicolàs Gòmez Dàvila, nato nel 1913 da famiglia benestante e marginalmente conosciuto in Italia per alcune raccolte siglate Adelphi: In margine a un testo implicito e Tra poche parole, questi i titoli, riconducibili agli anni ’70 del secolo scorso e dai quali sono tratte le citazioni che riportiamo. “La letteratura non muore perché nessuno scrive, ma quando scrivono tutti”, ovvero l’aforisma scelto da Gaignault per rappresentarlo nella compilazione, invero pescando tra le frasi meno pungenti del filosofo di Bogotà.

Volendo fare opera divulgativa, potremmo inserire Gomez Davila in una nebulosa letteraria, accanto a Cioran per la lucida spietatezza delle sentenze, e a Oscar Wilde per gusto stilistico nel maneggiare il paradosso – ma invertendone il bersaglio -, situata nella costellazione dello scetticismo più abrasivo. In realtà, tenendo a freno l’entusiasmo dinnanzi ad una scrittura fulminante ed impersonale – Gomez Davila si mascherava perfettamente dietro l’oggettività di una struttura di pensiero logica, seppure diametralmente opposta riguardo a quella vigente progressista – la sua stravaganza risiede tutta nell’estro di saper rivoltare come un calzino la modernità. Modernità intesa come ideologia neo-totalitaria, ma anche come deturpamento collettivo di virtù aristocratiche. Sostenendo che “ciò che di sicuro minaccia il mondo non è tanto la violenza di moltitudini fameliche quanto la sazietà di masse annoiate”, egli getta il guanto di sfida al suo tempo e a quello futuro (ovvero il nostro), scegliendo come arma un affilatissimo fioretto.

Nicolas Gomez Davila, spesso confutando colossali teorie, divenute nella realtà null’altro che miseri slogan, mette in relazione le utopie politiche con l’implacabile scorrere del tempo. Egli, utilizzando sovente le stesse conclusioni dei suoi avversari per metterne in crisi i categorici postulati – “ogni ribellione totale si conclude in una filosofia da Rotary Club” – relativizza gli schiamazzi umani in favore di una visione metafisica, virtuosa proprio in quanto imperniata sul distacco e sul disincanto riguardo agli affanni contemporanei. La caduta di distanze, di forme, di simboli, in favore di una livellante liberazione partecipativa, induce lo scrittore ad intingere il pennino nel veleno, soprattutto nei confronti della religione cattolica e dei suoi cedimenti post-conciliari. Tant’è che si definiva un pagano che crede in Cristo.

“In un secolo in cui i mezzi di comunicazione divulgano infinite stupidaggini, l’uomo non si definisce colto per quello che sa ma per quello che ignora” oppure “La società del futuro: una schiavitù senza padroni”, sottendono proprio quella perfidia pungente, che non è altro se non esercizio dell’intelletto dinnanzi ai riflessi condizionati, alle pose accomodanti, alle adesioni acritiche, ai pedissequi istinti imitativi. Lo scrittore colombiano, smantellando l’impianto retorico illuminista con meticolosa cura, offre al lettore un’occasione unica, ovvero quella di emanciparsi dalla pedagogia del “dover essere” nei confronti della società, per potersi concedere il lusso del coraggio nel “voler essere”, davanti a Dio. Quello che è certo è che poco avrebbe stimato l’attuale Pontefice, così affaccendato in edilizia mondana, nella convinzione che la Chiesa Cattolica fosse, dopo la naturale evoluzione del patriziato romano, la ribellione del mistico dinnanzi alle prediche del sacerdote; d’altronde, come ebbe a scrivere: “Il dialogo tra comunisti e cattolici è diventato possibile da quando i comunisti falsificano Marx e i cattolici Cristo”.

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Donato Novellini

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