Libri. “Non ci sono innocenti” e la gioventù di Freda e Ventura

1924127_1666381953627943_5148292149769392256_nPubblichiamo brevi passi del romanzo “Non ci sono innocenti” edito da Ar, la storia giovanile di Franco Freda e Giovanni Ventura

La sinossi dell’opera

C’è un antefatto: nel marzo del 1945, nelle campagne intorno a Vicenza, un manipolo di brigatisti neri dissotterra i cadaveri di alcuni partigiani e li getta sul sagrato della chiesa per vendicare i propri camerati che il prete si era rifiutato di seppellire.

L’episodio illumina del suo livore quello che accadrà due decenni più tardi. L’azione salta al 1967, dove troviamo alcuni neofascisti veneti riuniti in una piccola stanza nel centro storico di Padova. Sono estranei alla galassia di partitelli dell’area: le loro parole sono diverse, le voci diverse, le intenzioni diverse. Leggono i classici del proprio firmamento ideologico e ne traggono spunto per interpretare il panorama di quegli anni, divisi tra l’ebbrezza del boom economico e un presagio di tempesta. Alla fine scivolano, forse per suprema autoironia, in un calcolo sanguinario: di quanti centimetri si sarebbe alzato il lago di Garda se ci avessero gettato dentro i cadaveri dei milioni di nemici che ritenevano di avere?

Non cerca solo la vendetta ideologica il capo della banda, l’Autocrate. Cerca quell’“anello che non tiene” nel sistema borghese, nell’Italia delle ipocrisie istituzionalizzate (qui rappresentata con eccezionale cura documentaria) – il belpaese delle sofisticazioni alimentari, degli enti inutili che drenano denaro pubblico a palate, degli assassinii per noia e delle stragi per lucro, del Monte Toc, delle canzonette, degli amori vigliacchi e dell’intossicazione yankee.

Il suo è il doppio tentativo di cavalcare tanto il fermento ribelle che monta da sinistra, convincendo i compagni a unire le forze contro il nemico comune, quanto l’ambiente dei militari. Tutto questo servendosi di armi sempre più spregiudicate, che non possono non contemplare, alla fine, il tritolo.

È la storia vera di Freda, di Ventura e dei membri dei loro gruppi tra il ’67 e il ’69.

Le anticipazioni

Sotto gli archi della Padova addormentata, oltrepassarono un mendicante che dormiva raggomitolato tra la giacca e il cartone.
Il Vecchio si schiarì la voce.
– Ma il problema rimane – fece, guardando in là nel buio. – Se capita un incidente? Ti immagini? Un Bambingesù, come potrebbe reagire? O un Rodigini… Un Bruni… Un Cavallante… –

La sua voce era così sola nella via che se ne potevano sentire tutte le sfumature: quelle della fatica, dell’umidità, e adesso l’incertezza che si rivoltava contro se stessa.
Giulio aveva lo sguardo levato su un anello di stelle che disegnava un alone morbido dietro un velo di nubi, appena sopra l’ordine dei tetti più bassi.

– Ma noi facciamo le cose a regola d’arte – disse.
Il Vecchio si fermò. Lo guardò con occhi intristiti. L’aria fredda della notte gli increspava i ciuffi di capelli facendoli ricadere sulla fronte.
– Eh, ma c’è sempre il caso. Guarda che è il caso la vera libertà, in un mondo in cui nessuno si muove. –
L’Autocrate contrasse il volto. Il razionalista che c’era in lui si ribellava.
– Ma se il caso è la negazione della libertà! –
– Dovrebbe esserlo – ammise il Vecchio. – Ma in questa situazione ciò che si muove liberamente è affidato al caso. –
– Troppo difficile. Avresti potuto dirmi, allora, che tutto è libertà, anche quella del caso. Che il caso stesso è voluto… – Giulio si fermò a ragionare su quel paradosso, che già da ragazzo lo colpiva e affascinava.

*

– E allora – incalzò, forzandosi, – se succedesse qualcosa di grave, secondo te, si muoverebbero? Sommosse più consistenti delle guerricciole, delle… polemiche che si sono viste finora? –
Il Vecchio proiettò in fuori le labbra per confondere un’espressione divertita. Poggiò il mento sul palmo della mano e girò il cucchiaino nella tazza vuota. Martelli si schiarì la voce.

– Credo che se li si toccasse nel vivo in quel momento dovrebbero fare qualcosa. Se… – Si fermò. – Se la situazione si aggravasse. –

*

– Più che ‘grande passione’, mi sembra sia stata un’atroce passione. –
L’uomo lo guardò e alzò le spalle.
– Siccome la vita non ha nessun perché, evviva la passione. Se prima il perché era dato dalla patria, dalla nazione, dall’onore, di fronte al deserto io ci pianto la mia spada, la mia lancia. La mia lancia è il mio stendardo. Non ci sono i colori della bandiera, c’è solo l’acciaio. –

Le autrici
Anna K. Valerio è filologa classica e redattrice delle Edizioni di Ar. Ha già pubblicato per Ar un saggio di critica nietzschiana (con lo pseudonimo di Arianna De Giorgio), Per grazia, con grazia, e un volume di ‘scritti di contrasto’, Infierire.

Silvia Valerio  scrive di cultura e attualità attraverso il filtro della satira. È autrice di C’era una volta un presidente (Vallecchi 2010), libro dei suoi diciotto anni che le ha dato una sorprendente notorietà mediatica.

*Non ci sono innocenti di Silvia e Anna K. Valerio (Edizioni di Ar, collana Il Cavallo alato pp. 414, 20 €, aprile 2016)

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