Il ricordo. Montesilvano 1971, Almirante Auriti e Buontempo olimpico nello specchio del lift

teodoroForse avevamo bevuto, forse no: non avevamo neppure quell’attenuante. Montesilvano: fine settembre del 1971, primo corso per dirigenti politici del Fronte della Gioventù. Mattina e pomeriggio seguivamo con serietà le lezioni tenute dai quadri del partito e ci accapigliavamo con puntigliosa faziosità in serrati dibattiti. La sera dopocena ci concedevamo qualche fugace escursione intorno alle tre grandi torri degli alberghi di nuova costruzione che svettavano sulla spiaggia adriatica. Ma i dintorni di una località balneare al termine della stagione estiva offrivano poco o nulla: qualche bar in disarmo, qualche attempata e rissosa peripatetica, qualche questurino in borghese che cercava di attaccare discorso per carpire segreti che non c’erano, perché i propositi più spropositati venivano già manifestati nel corso del dibattito, che di fatto era pubblico.

Fu così che a qualcuno di noi venne l’idea più assurda possibile. Ci prese il bischero di fingerci contestatori e simulare, con qualche pugno chiuso e qualche slogan, un assalto gauchiste agli alberghi dov’eravamo alloggiati.

Mai sciocchezza fu presa altrettanto sul serio. Anche se il peggio doveva avvenire, esisteva già la sindrome dell’accerchiamento. Gli altri convegnisti – quelli seri, che erano rimasti in albergo – si prepararono a difendersi trasformando in arma impropria tutto quello che avevano a portata di mano. Gambe di sedie o di tavolini, ma anche tubi di sanitari furono trasformati in corpi contundenti e quando l’equivoco fu chiarito i danni ammontavano a cinque milioni, di lire ma di quarant’anni fa. Li avrebbe pagati il professor Giacinto Auriti, inventore di un’affascinante teoria monetaria post-poundiana oggi riscoperta anche a sinistra, in cambio dell’opportunità di tenerci una conferenza con frasi stentoree sulla “socializzazione applicata alla macroeconomia”.

Il servizio d’ordine prese i nomi di chi rientrava in albergo e ricevetti una prima ammonizione (il giorno dopo rischiai, in quanto recidivo, l’espulsione per aver difeso Marco Tarchi, mio compagno di camera, in un principio di scazzottata con un pratese attaccabrighe). Ma lo spettacolo che ci si presentava era indimenticabile: Almirante in pigiama che vagava infuriato per i corridoi, tubi di bidè depositati nei corridoi col linoleum, e Teodoro Buontempo, totalmente ubriaco in quella confusione, che, in piedi in ascensore, faceva con calma olimpica il lift a chi saliva e scendeva da un piano all’altro.

Da allora non ho avuto molte occasioni di rivedere Teodoro Buontempo. Ho seguito da lontano la sua carriera politica, le sue scelte di partito, le sue vicende familiari, le sue maratone oratorie, la sua vicinanza al mondo degli umili. Ho saputo dei figli che aveva cresciuto come piccoli lord, nelle scuole migliori, lui che per vivere da ragazzo aveva fatto il barista e i primi mesi dopo la transumanza a Roma dal nativo Abruzzo aveva dormito nella sua cinquecento. Non sono certo la persona più adatta a parlare di questo vecchio ragazzo che ho conosciuto, io diciottenne ancora incerto sulla facoltà da scegliere, lui già uomo fatto e dirigente giovanile affermato, in quel mitico settembre del 1971 in cui dopo il successo del Msi alle amministrative siciliane tutto pareva possibile e Almirante ci aveva appena anticipato che l’ammiraglio Birindelli si sarebbe candidato con noi nelle incombenti elezioni politiche anticipate. Ma, anche se avessi molte altre cose da raccontare di lui, preferirei ricordarlo così, intento a specchiarsi nello specchio di quel lift e a premere tasti, con un po’ di nostalgia e la speranza che l’ascensore del destino lo stia sollevando, senza troppe scosse, il più vicino possibile a Dio.

Enrico Nistri

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