Libri. La passione per le cosce salverà il mondo: le “Lettere alle amiche” di Céline

brizzi-il-est-beau-mon-bebere-3ezyÈ nel tempo un sentimento diffuso dal sottosuolo, un’emozione scrutata dagli abissi, uno sguardo sghembo al sentimentalismo. Un pungolo al non amare che si fa cristallizzazione di un affetto reale. Un negare che afferma in un lucido delirio. Dissolti nella contraddizione,  sussulti di cuore e carne attraversano impudentemente le “Lettere alle amiche” (a cura di Colin W. Nettelbeck, traduzione di Nicola Muschitiello, Adelphi, pp 257, euro 15) scritte da Louis-Ferdinand Céline.
La contraddizione è materia viva e pulsante. Accade quando la vita supera in forza l’ideale. La tensione all’idea è più debole dell’accadere. In tale superamento, l’ideale esce da quello stato di fissità, riprende vigore per assolvere il suo compito: essere un’antinomia. Le idee rendono completi, il potere della contraddizione rende liberi. Un ideale venerato diviene acquitrinoso e muore. E se Destouches cade in contraddizione, il primo impeto è quello di scrivere un’ode all’incongruenza. La coerenza è dell’individuo sociale e Céline non è l’uomo, non solo, è parte di umanità nella grandezza di artista.

Il momento è la sospensione tra Louis Destouches, Céline e Bardamu. La corrispondenza attraversa un periodo che va dal 1932 sino, nel caso di Evelyne Pollet, al 1948. Non si tratta del consueto carteggio d’amore, non figurano sentimentalismi e il cielo conserva lo stesso colore della sua opera maggiore, il Vojage. L’appuntamento è con sei donne, diverse per temperamento, posizione sociale e provenienza. Creature accomunate dalla passione per un uomo che rifugge la parola amore. Un carteggio come inno alle gambe: non la fiamma del cuore dunque, ma l’idolatria delle cosce salverà l’umanità. Ed è proprio il negare questa tensione al puro ardore carnale, secondo Céline, a portare l’individuo all’infelicità.
Alla studentessa tedesca Erika Irrgang è destinata un’esortazione definitiva: emanciparsi dal romanticismo, fragilità tipicamente femminile ai bordi della tolleranza. Lo sport, l’ordine e il perseguimento di un obiettivo sono per il medico di Meudon, i rimedi al male di esser giovani. Una sollecitazione a un asfissiante realismo, affrancato da alcun afflato sentimentale. L’auspicio al festeggiamento di una donna che non viva il momento dostoevskijano: la distruzione e la dannazione non appartengono alla femmina. Un abbraccio dal sapore paternalistico è ancora il tono usato con l’insegnante di ginnastica N.. All’amore per le cosce si mescola quello per il “popo” (culetto). Un’attenzione benevola si accorda a un’importante tensione alla carne. Un trasporto lascivo allevia l’ineluttabile caduta nello sconforto.

“Il ricordo delle sue cosce mi basta ancora. Sono un sentimentale. Mi racconti tutto ciò che succede. Nella sua vita e tra le sue gambe.”

Tornano nuovamente le raccomandazioni alla concretezza e all’ambizione. Tra Destouches e Céline, sopravvive un uomo che non sa parlare d’amore, non alla maniera convenzionale. A N. viene richiesta l’inclinazione viziosa come antidoto al sentimento. La loro amicizia, della durata di sette anni, attraversa tre opere di Céline: Vojage au bout de la nuit, Mort à crédit e Mea culpa. Un clima di sospensione, anche per l’arrivo imminente della guerra, avvolge le lettere tra lo scrittore e la letterata belga Evelyn Pollet. L’autore del Vojage appare maldisposto nei riguardi della letteratura femminile. Se da un lato tenta la via del supporto, dall’altro la invita a un più accessibile mestiere giornalistico. Si definisce un cattivo lettore poiché un libro è come la morte. Ancora un’esortazione all’intraprendenza sessuale, all’uso della figura maschile come immagine materiale e di sostentamento. Si rinnovano in tale corrispondenza i temi cari al Vojage: l’uomo destinato al tedio, alla sopportazione possibile solo attraverso la contraffazione della vita. La presenza imperativa del romanzo muove non solo nelle tematiche ricorrenti, ma nelle parole stesse dell’autore: “noioso, insulso e da vomitare”. Una forma curva di apoteosi della vanità che non risparmia alcun essere umano, ancor meno Céline: il denigrare come forma di affermazione.

Non c’è uomo che non sia prima di tutto vanitoso. Dal Vojage.

Condanne ed epifanie: accanto al biasimo per la malinconia, si muove l’inno al vizio, il torbido e l’ignobile. Depravazioni oneste che non ingannano con false speranze. E’ un tornare a guardare l’abisso dall’abisso, scendere nel sottosuolo per restare. Fuggire la luce, il tempo ordinario ritmato dai suoni borghesi per accomiatarsi dall’abiezione  dell’essere umano. L’individuo è zavorra: pesa e rallenta. Pesanti sono le maschere, i ruoli e i personaggi da interpretare quotidianamente. La gelosia finisce nell’atto deplorevole. Céline abita voragini libere da assilli sentimentali sino alla comparsa di Karen. È in quell’istante che anche il bieco si fa eccezione e muta prospettiva. Il medico è geloso, a suo modo certo: mediante negazione. Karen Marie Jensen è una ballerina e Céline si fa il Degas della scrittura.

Mi piacciono sempre le ballerine. Non mi piace nient’altro, addirittura. Tutto il resto m’è orribile.

La danzatrice è l’immagine di una melodia carnale, un corpo disciplinato e leggero. Karen è sfuggente e lo scrittore è l’uomo che rincorre in un gioco vecchio quanto l’amore. Dunque anche nel più profondo dei disincanti, il disilluso può farsi illuso. Ma un disincanto che si fa beato è per Karen triste e deprimente. L’incontro scontro accade con la pianista francese Lucienne Delforge. È il rendez-vous di due inquietudini tra diversi piani artistici. Nell’avvicendarsi di musica e letteratura, per la prima volta si ode un sussulto dall’abisso, nel realismo più cupo giunge la più sonora delle grida: “ti amo”. L’allontanamento si fa liturgia e passione: “Ti amo tanto e per la vita, inevitabilmente:”
Con la giornalista Lucie Porquerol non nasce alcuna relazione amorosa. Pochissime le lettere, nuovamente testimonianza di uno sguardo impietoso sulla disperazione personale e storica.

La corrispondenza non disegna un uomo diverso dall’artista del Vojage. Esiste un filo, per nulla trasparente, tra il viaggio al termine dell’umanità e il tragitto alla fine dell’amore. Uno sguardo abissale che occhieggia la voragine dei sentimenti al netto degli “ismi”. È un amare alla fine dell’amore che è principio ed epilogo in un circolo vizioso di impossibilità. Il sentimento definitivo è carnale.

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Isabella Cesarini

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