L’intervista. Sangiuliano: “Putin? Leader identitario dalla parte del popolo contro l’élite”

Gennaro Sangiuliano  autore della biografia di "Putin" (Mondadori)
Gennaro Sangiuliano autore della biografia di “Putin. Vita di uno Zar” (Mondadori)

“Putin. Vita di uno Zar” (Mondadori) di Gennaro Sangiuliano è ormai un best seller. All’autore – scrittore, vicedirettore del Tg1 e docente universitario cresciuto – abbiamo chiesto di ripercorre non solo le tappe delle ricerca sul presidente della Federazione Russa ma anche di inquadrarlo secondo le attuali categorie politiche, nonché di analizzare i rapporti tra Italia e Russia dopo la crisi scaturita – con Ue e Stati Uniti – in seguito al conflitto in Ucraina.

Direttore Sangiuliano, una biografia di Putin per raccontarlo agli italiani. Con che registro descrittivo si è cimentato nell’opera?

«I grandi maestri dello storicismo italiano, Benedetto Croce, e con lui Giovanni Gentile, affermavano che la “storia è sempre storia contemporanea”. Nel senso che dallo studio della storia, tutt’altro che materia inerte, traiamo gli strumenti per interpretare la realtà presente. Putin è certamente un grande protagonista del nostro tempo, un leader politico che ha ridato orgoglio e stabilità alla Russia. Ora, la sua figura si sta rivelando centrale nello scacchiere internazionale e nella geopolitica globale, dalla lotta all’Isis, alla Siria, al rapporto con l’Asia, alle strategie energetiche. Per capire a fondo la sua politica bisogna conoscerne anche la biografia personale, e quello che è più importante, inquadrare la sua vicenda nella cornice della storia culturale e politica della Russia.

La storia personale del leader russo sembra degna di una spy stories, potrebbe essere definito il James Bond russo, il modo con cui è emerso è sorprendente e merita di essere raccontato. Ha vissuto per decenni in una “kommunalka”, una casa in comune dove alla sua famiglia spettava solo una stanza. Non era un figlio della nomenklatura e si è fatto strada con una grande determinazione».

Il decisionismo è la cifra del Putin politico. Come viene percepita in patria? Come in occidente?

«Di recente l’istituto indipendente Levada, ritenuto affidabile anche in Occidente, ci ha detto che il gradimento di Putin presso i russi, per effetto della crisi, è sceso dall’85% all’82%. Ripeto 82%. Nessun leader occidentale, neanche la Merkel dei tempi migliori è giunto a queste cifre, per non dire dei leader italiani. Il favore di vendite che ha incontrato, inaspettatamente per me, la biografia che ho scritto, forse rivela che da parte della gente c’è voglia di conoscere l’uomo e il politico, e significa che Putin incontra un certo consenso anche al di fuori del suo paese. La sua vita rivela un uomo che si è fatto da solo, radicato nella grande storia russa, capace di scelte coraggiose. La gente percepisce anche che Putin oggi difende e rappresenta alcuni valori cristiani che l’Occidente non tutela adeguatamente, quasi che la Russia sia la “Terza Roma”. La definizione di Zar va intesa andando all’etimologia del termine, che deriva da Cesare, nel senso di una “guida” che ha ridato orgoglio e una prospettiva al suo popolo. Mi pare che sia riuscito a riplasmare un’identità in cui molti possono ritrovarsi: essa tiene insieme lo stemma e il nastrino zarista, l’inno sovietico con la vecchia musica e nuove parole, la bandiera che fu quella di un breve periodo democratico. Pezzi di storia, una volta antitetici, messi insieme. Un’operazione alla quale i politologi russi hanno dato il nome di «rinascimento nazionale e tradizionale ».

Putin è catalogabile secondo l’asse destra-sinistra? Secondo le categorie in vita nella Duma?

«Putin è un comunitario identitario, sicuramente un conservatore nel senso prezzoliniano del termine. Arthur Moeller van den Bruck aveva scritto: “Chi non pensa che lo scopo dell’esistenza si realizzi nel breve istante, nel momento, nel tempo dell’esistenza stessa è un conservatore”, Giuseppe Prezzolini offre un’accurata descrizione dell’origine semantica della parola «conservatore», che ha «origine da una radice indoeuropea (swerwer, er) che indica il ruolo del guardiano, colui che “osservava” il gregge o il villaggio (haurvo, viš-haurvo); dunque una specie di vedetta che, posta probabilmente in alto, in un luogo dal quale si potesse seguire con l’occhio il gregge e avvistare il nemico o il ladro ed accorgersi se le pecore o le vacche si allontanavano troppo. È evidente il simbolismo di questa immagine: gregge e villaggio sono i beni supremi di una comunità arcaica, la cui perdita può metterne a rischio la sopravvivenza; difenderli e preservarli è essenziale.

Appena eletto Putin mandò una rappresentanza del suo partito “Patria Russa” alla convention dei repubblicani americani, questo dovrebbe farlo catalogare a destra. Ma il tema non è questo. È un identitario nemico del politicamente corretto e dello sradicamento che la globalizzazione vuole imporre ai popoli.

Al ritorno dal lungo esilio negli Stati Uniti durato quasi vent’anni, Aleksandr Solzenicyn, tornato in Russia nel 1994, decise di dare alle stampe un pamphlet, tradotto in Occidente col titolo «Come ricostruire la nostra Russia? Considerazioni possibili». Lo scrittore Nobel di Arcipelago Gulag, pur esprimendo gratitudine agli Usa per averlo ospitato e protetto dalla persecuzione comunista, avvertiva che se «l’orologio del comunismo aveva cessato di marciare», la soluzione per la Russia non poteva essere nell’accettazione tout court del modello di società capitalistica di matrice anglosassone. E tratteggiò le basi filosofiche e morali, della nuova e antica Russia, partendo dalla lezione di quelli che indica come interpreti imprescindibili dello spirito russo e dell’ordine morale, Tolstoj e Dostoevskij».

Putin ha sintonie con il pensiero eurasista?

«La cultura russa si è sempre divisa fra gli occidentalisti, come Piotr Ciaadaev, Ogarev, Aleksandr Herzen, che ritengono che la Russia sia nata con l’occidentalizzazione degli slavi russi ad opera di Pietro il Grande, e gli slavofili, come Alexis Khomiakov, Constantin Aksakov o Ivan Kirevsky che insistono, invece, nell’individuare i pilastri della nazione nel patriarcato di Mosca e nell’unità della Chiesa ortodossa. Da questa seconda posizione deriva una visione della Russia, esterna all’Occidente, orientata all’originalità della sua cultura tradizionalista, in opposizione al razionalismo illuminista. Una visione propria dell’Impero zarista ma che finanche Stalin non disdegnò di richiamare quando si trattò di invocare l’unità contro l’invasore nazista».

Il feeling economico e le scintille politiche Russia-Germania: un paradosso?

«Qui c’è un antico rapporto di amore odio. L’attacco della Germania all’Urss costò milioni e milioni di morti, alcuni storici russi parlano di venti milioni, altri storici occidentali dicono otto milioni, comunque una cifra colossale. Nella Prima guerra mondiale, invece, la Russia zarista era stata sconfitta dalla Germania imperiale, i cui servizi segreti avevano finanziato la rivoluzione bolscevica di Lenin.

Nel dopoguerra la Germania, anche nel duro confronto della guerra fredda, divenne l’interlocutore privilegiato dei sovietici, anche al di la della specifica questione della DDR e dell’ostpolitik. L’Urss prima e la Russia dopo hanno sempre avuto bisogno della tecnologia tedesca e questi, a loro volta, del gas di Mosca e di un grande mercato economico a Est. La Merkel cammina sulle uova tenendosi in bilico fra gli interessi economici e quelli dell’alleanza con gli Stati Uniti».

Renzi sulla sanzioni economiche verso Mosca si è distinto dai suoi colleghi europei. Con che risultati?

«Le sanzioni sono inutili e sono un danno reciproco, per la Russia e per l’Italia, il nostro paese perde, secondo uno studio di BancaIntesa, oltre 4 miliardi di esportazioni l’anno. Credo che Renzi sia consapevole di ciò ma lo sanno anche Hollande e la Merkel, che non sono felici di questo stato di cose. Inoltre, le opinioni pubbliche di questi Paesi avvertono che la questione della Crimea è pretestuosa. Questa terra è sempre stata russa».

Putin e l’Islam. Come viva in Russia la minoranza musulmana?

«Nelle scorse settimane a Mosca è stata inaugurata una nuova moschea, la più grande per dimensioni in un paese non islamico. Il governo ha voluto e caldeggiato il progetto, segno che non c’è pregiudizio verso l’islam come religione. Ma è stato Putin con la guerra in Cecenia a evitare il primo tentativo di instaurare un califfato islamico, ed è uno dei pochi che fa sul serio la guerra ai terroristi. L’islam deve essere una religione e non diventare uno strumento politico».

La posizione russa in Siria divide: l’interesse nazionale italiano in che direzione procede?

«L’Italia mi sembra: vorrei ma non posso».

Sintonie religiose, culturali e geopolitiche con la Russia sono compatibili con i precedenti schieramenti europei e occidentali dell’Italia repubblicana?

«La Russia ha dato al mondo una delle più importanti letterature. Pensiamo al grande contributo di autori come Puskin, Cechov, Dostoevskij, Tolstoj e tanti altri. Questi autori si intersecano bene con la cultura europea, Dostoevskij conosce a fondo Dante Alighieri. San Nicola, che Putin conosce bene, è a Bari.

Putin non piace ad alcune élite finanziarie e bancarie, che si sono insediate al potere in quasi tutte le nazioni occidentali con un’operazione che ha tolto la sovranità ai popoli. Si tratta di quei potentati economici che si allearono con gli oligarchi che Putin ha cacciato e che pensavano di poter depredare la Russa.

Invito a leggere il richiamo agli scritti politici di Dostoevskij, quelli della rivista il «cittadino» e al discorso su Puškin del 1880, laddove l’autore dei Fratelli Karamazov analizza il rapporto fra élite e popolo. Dostoevskij si unisce a Puškin nella censura di quello che chiamano ceto dell’intelligencija, che “crede di stare di gran lunga al di sopra del popolo”, responsabile di aver alimentato una “società sradicata, senza terreno” e ne fustiga il comportamento “svincolato dalla terra del nostro popolo”».

@waldganger2000

Michele De Feudis

Michele De Feudis su Barbadillo.it

Exit mobile version