Artefatti. L’insopportabile grandezza di Aldo Busi, capomastro della letteratura à la Céline

aldo busiNon giriamoci troppo attorno, il più grande scrittore italiano vivente è un insopportabile moralista – nato a Montichiari nel 1948 – e di nome fa Aldo Busi. Si dirà: Lombardo per caso, per contingenza geografica, per i registri dell’anagrafe, per fatale lontananza dalla nomenclatura romana delle premiazioni; si obietterà stancamente: omosessuale, polemista, giocoliere mediatico, anticlericale viscerale, sinistroide, acida primadonna (che giudicherebbe insulto irreparabile). Dettagli, ai quali andrebbe aggiunto qualcosa di più importante, intrinsecamente legato al “portamento” tipicamente settentrionale, alla schietta caparbietà caratteristica di questa terra e di chi l’abita. Aldo Busi, girovago per il mondo in gioventù, impiegato nei lavori più umili e faticosi per sopravvivenza, rappresenta già dalla parlata con inflessione bresciana, tutto il pragmatismo e la concretezza caratteristici della regione più produttiva d’Italia. Insomma, l’esatto contrario del fannullone che cela l’ignavia dietro confuse velleità artistiche. Conoscitore onnivoro, dalla grande e piccola letteratura al prezzo della frutta sul mercato, Aldo Busi è uno scrittore senza simili, da più di trent’anni sempre contemporaneo pur risiedendo in periferia, con ciò intendendo l’orgogliosa appartenenza – locale e specifica, giammai provinciale – fuori dai circuiti mercantili letterari e dalle parrocchie intellettuali; un artigiano sublime della parola cesellata, soffiata come vetro o scolpita nel marmo, resa malleabile in favore di frase, capitolo e quindi libro; capomastro costruttore di romanzi perfetti che riportano a spietate lezioni di vita (vissuta), musicate à la Céline.

Moralista ed educatore di libero pensiero, indipendente nella riflessione come nel secco giudizio, Busi mette insieme “maschio” realismo contadino e raffinatezze stilistiche da gran ricamo, l’odore delle fabbriche con l’esotismo dell’altrove, l’asprezza della vita di provincia con la consapevolezza del viandante irrequieto, lo sberleffo all’incenso non tanto favore di zolfo, quanto funzionale al domestico giardinaggio, all’eremitaggio inevitabile dell’esteta, sempre incompreso dai contemporanei. Sincero sfidante d’ogni ipocrisia, già dai titoli dei libri pubblicati racconta con assenza di  compromesso il saper vivere e lo stile di stare al mondo: Seminario sulla gioventù, Vita standard di un venditore provvisorio di collant, Vendita galline km 2, Sodomie in corpo 11, Cazzi e canguri. Pochissimi canguri, Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo – in ordine sparso tra romanzi, manuali e libri di viaggio, fino a giungere ai più recenti Vacche amiche e L’altra mammella delle vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata). Dire sempre la verità pare il suo imperativo categorico, dando ad intendere agli stolti di sparare solo gratuite enormità provocatorie, da furibondo narciso. Ecco, nell’Italia dei camerieri e dei questuanti, quello della sincerità è davvero privilegio riservato a pochissimi.

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Tutt’altro che snob, o forse incarnazione sublime dello snob che snobba la mediocrità imbellettata del miserevole snobismo italico – tutte le recite autoindulgenti degli onanisti moderni – Aldo Busi è uno smascheratore implacabile di luoghi comuni e di posticce appartenenze (politiche, religiose, corporative); forse perché indurito da una giovinezza lontano dalla bambagia, lo scrittore monteclarense pare uno dei pochi omosessuali non assuefatti al civettuolo mestiere della pantomima, all’obbligo di timbrare il cartellino dinnanzi ai tornelli della decadenza autocompiaciuta: “Perché non sono uno scrittore gay, non scrivo storie gay, non ho il senso del vittimismo gay. Secondo loro io sono uno svergognato e soprattutto non ho una seconda vita”. Anche qui fuori lobby, irrimediabilmente distante dai comodi uffici di collocamento culturale, ma sempre propenso a troneggiare nell’imprevedibile. Il più grande scrittore vivente, assai prossimo alla glorificazione con apposito e meritatissimo Meridiano Mondadori, maramaldeggia tuttavia con naturalezza nel trash televisivo, conscio della propria vanità come pure dei rischi da affrontare, delle lordure da mondare, per il vezzo di continuare ad essere (im)popolare. Può piacere o non piacere, ma Aldo Busi è un classico vivente tutto nostrano, attualmente al pari di nessun altro. Chi non se n’è accorto, accecato dall’innata vocazione del genio nel mostrarsi insopportabile ai più, si procuri quanto prima l’esordio letterario Seminario sulla gioventù. Così ne scrisse l’autore: “L’uomo che è scrittore non è stampella né della sua opera né dei suoi lettori, quindi non è stampella nemmeno di sé stesso scrittore; non è allungando i brodi con l’inchiostro che si esce dalla culinaria per entrare nella Letteratura”.

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Donato Novellini

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