Qualcuno, più sofisticato per scienza e conoscenza, avrebbe potuto persino ricordare che il Romano (inter)nazionale si era reso protagonista anche del primo tentativo di svendita della Russia post-sovietica, lui unico italiano a partecipare al famigerato “Piano Shatalin”, il progetto del Fondo Monetario per travolgere Mosca con uno shock liberista. Prodi l’uomo della finanza anglo-americana, del capitale internazionale, delle privatizzazioni selvagge, dell’Europa dell’euro, delle burocrazie continentali, delle banche d’affari. L’intimo amico di Carlo De Benedetti e dello speculatore George Soros. “No, non si può”.
E invece nulla di tutto questo è avvenuto. A boicottare il ciclista bolognese è stata la solita bega interna indegna anche della Prima Repubblica, la consueta sanguinosa notte dei lunghi coltelli consumata nei camerini della farsa. Sarà stato D’Alema? Probabile, ma non è fondamentale saperlo.
È utile piuttosto registrare la ferrea ed incrollabile fermezza della compagine vendoliana che, a riprova della propria fedeltà, ha votato scrivendo: “R. Prodi”. Un marchio di identificazione. “Vedete? Non abbiamo tradito, siamo stati bravi”. Bravissimi, soprattutto dopo lo splendido sermone domenicale di Nichi dalla Annunziata, in cui il governatore pugliese si è scagliato contro il “ciclo liberista” e “le lobbies economico-finanziarie che hanno scritto l’agenda di governo per i prossimi dieci anni”. Cioè contro le idee e l’agire di uomini come Prodi che i soldatini vendoliani hanno poi votato con la premura di rendere la propria scelta evidente a tutti. Si sa, i rivoluzionari allo yogurt bio sono sempre i più servi fra i servi. Ma 101 franchi tiratori hanno rovinato la festa (loro) e dissolto l’incubo (nostro), precipitando il centrosinistra nel caos.
Alla fine, avevano ragione l’Europa, la Germania e la finanza quando imposero a Monti di candidarsi con una lista propria per affiancare e sostenere (leggi controllare) il pur deferente Partito Democratico. Troppo cialtroni per potersi fidare.