Il punto (di M.Magliaro). Le Pen frenata (ma non sconfitta) dal sistema elettorale e lobbies

Marine Le Pen
Marine Le Pen

Da Parigi. Mi pare che il titolo più azzeccato fra i tanti dedicati dalla stampa francese al ballottaggio di ieri, domenica, sia quello di Liberation: A gauche comme à droite, le danger de l’amnésie. A sinistra come a destra c’è il pericolo dell’amnesia.

Già, perché nessuno ha ricordato che la Francia si è data un metodo elettorale concepito per conservare il sistema ad ogni costo, anche a costo di ledere il principio di base della democrazia cioé la rappresentanza degli elettori.

Il Front national è il primo partito di Francia con poco meno di sette milioni di voti ma non governa nulla di importante.  Solo 13 piccole città, la più celebre delle quali è Frejus.  Tracce, consistenti ma pur sempre tracce, segni di una presenza marginale nella vita politica, quasi simbolica.

Sette milioni di voti e potere zero. Perché?

Il patto fondativo della V Repubblica venne siglato dai “soci fondatori” del sistema, che erano quattro: i gollisti, i socialisti, i centristi ed i comunisti. Si blindarono con un metodo rigido che prevede che o prendi la maggioranza assoluta al primo turno (cosa quasi mai avvenuta nella storia recente della Francia) oppure devi contrarre alleanze per  vincere al secondo turno. E qui scatta ogni volta la conventio ad excludendum, come quella che in Italia bloccò la Prima Repubblica.  Accordi con tutti ma mai e poi mai con i reietti dell’estrema destra che, in nome di ciò che resta dell’antifascismo, non vennero ammessi all’atto di nascita del nuovo assetto istituzionale. Un copione pressocché identico di qua e di là delle Alpi.

Anche un bambino comprende che un metodo elettorale di questo genere serve solo ad una cosa: a perpetuare il sistema. Dando vita ad ammucchiate assurde fra chi fino a poche ore prima si era sparato in bocca su (quasi) tutto, dalla politica economica a quella estera.  Un sistema che perciò non risolve i problemi sul tappeto ma li nasconde (sotto lo stesso tappeto) in nome di una emergenza.

Il paradosso: dalla guerra all’Isis a quella al Fn

Il presidente del Consiglio Manuel Valls aveva suonato l’allarme parlando addirittura di guerra civile qualora la 26enne Marion Marechal-Le Pen fosse andata alla guida della PACA. Sicché la Francia è passata dalla guerra a Daesh alla guerra al FN nel giro di pochi giorni.

La parola d’ordine è stata seguita ancora una volta dagli imprenditori (che hanno dimenticato che piccole e medie imprese votano FN), dai vescovi (che hanno dimenticato quel che aveva scritto il loro giornale, La Croix, subito dopo il primo turno, e cioè che il FN aveva “sfondato” nelle scuole cattoliche),  dai sindacati (che hanno dimenticato che gli operai ormai, e da tempo, votano in massa per il FN) e dai soliti intellettuali (che non si sono accorti che gli autori che oggi vendono di più sono quelli che scrivono cose di destra, Alain Finkielkraut, Eric Zemmour, Richard Millet, Michel Houellebecq, Marcel Gauchet).

La tenaglia si è insomma chiusa. Micidiale. Feroce come solo la forza della disperazione può esserlo quando l’acqua sta per sommergerti anche la bocca. E così la Francia si è svegliata “salvata” da quello che veniva definito l’incubo, lo choc, lo sfregio, l’insulto di un FN alla guida di parti importanti del territorio francese.

Ma sono decenni che questo marchingegno elettorale scatta per fermare il Front national.  E serve sempre a meno. Non è davvero un caso che Le Figaro abbia messo in rilievo che “dal 2012 gli eletti del FN non hanno smesso di aumentare”.

I numeri dei lepenisti

Senza andare lontano ricordiamo che tre anni fa i deputati frontisti erano due, tre quelli europei, 59 i consiglieri municipali e solo un frontista siedeva  in un Consigliere regionale. Oggi ai due deputati nazionali si aggiungono due senatori, 24 deputati europei, 1544 consiglieri municipali, 358 consiglieri regionali e 62 dipartimentali.

Una marcia partita tanti anni fa, allorché il partito fondato da Jean-Marie Le Pen vinse nel piccolo centro di Dreux, dove venne eletto sindaco Jean-Pierre Stirbois, tragicamente scomparso in un misterioso incidente stradale. Una marcia che venne da subito osteggiata dai postgollisti di Chirac. Nell’RpR (il partito gollista di allora) ci furono discussioni anche aspre fra chi invece non voleva voltare le spalle al bretone che, ragazzo, aveva  militato ai margini della Resistenza antitedesca e che si considerava un seguace di De Gaulle (il De Gaulle nazional-europeista fino al De Gaulle dell’algerino “Je vous ai compris” di Mostaganem). Michel Poniatowski, allora ministro dell’Interno, fra questi ma anche Bernard Pons, allora segretario politico del partito e parecchi altri.

Chirac fu inflessibile. Malgrado i veti del sistema, i suoi ostracismi e le sue ingiurie ed anche gli errori, talvolta esiziali, commessi dallo stesso Le Pen, la marcia continuò. Ed è arrivata fin qui. Adesso la partita si sposta di due anni, alle presidenziali del 2017. Per Marine Le Pen è quello, ora, l’obiettivo della vita. Lei è burbera come il padre ed é intelligente come lui. Sa che l’Eliseo non è irragiungibile. Ci può arrivare se le azzecca tutte, da adesso  in poi, da sola fino ad arrivare  al 51 per cento.  Oppure se riesce a costruire alleanze non solo con gli elettori ma anche con gli eletti.

Difficile? Diceva Charles Maurras che ogni disperazione in politica è una sciocchezza assoluta.

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Massimo Magliaro

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