Libri. Perché rileggere “Anni della decisione” di Spengler: 5 citazioni

Barbadillo.it riproporrà ogni settimana un “livre de chevet” in cinque citazioni. Iniziamo questa settimana con il saggio  Anni della decisione, di Oswald Spengler, pubblicato dalle Edizioni di Ar. Gennaro Malgieri ha definito così l’opera: “«Anni decisivi» sorprendentemente oggi si rivela una sorta di manifesto della crisi europea di fronte alla quale non c’è nessun Cesare, come all’epoca qualcuno impropriamente si riteneva, capace di dominarla”.

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La società si fonda sulla diseguaglianza degli uomini. Questo è un fatto naturale. Ci sono nature forti e nature deboli, caratteri inclini e caratteri inadeguati a comandare, temperamenti creativi e temperamenti privi di talento: rispettabili e disprezzabili, ambiziosi e modesti. Ciascuna indole ha il suo posto nell’ordine del tutto. Quanto più ha un senso e un significato, tanto più una Kultur assomiglia al processo formativo di un nobile corpo animale o vegetale, per cui tanto maggiori risultano le diversità tra gli elementi costitutivi: le diversità, non i contrasti, i quali infatti vengono introdotti soprattutto per calcolo.

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La condizione perché questa possibilità di superamento [della crisi] si verifichi consiste nel coraggio di vedere realisticamente la situazione – e io temo che questo coraggio sia assente. Mai la viltà di fronte all’opinione pubblica – dimostrata da parlamenti, partiti, oratori e scrittori di tutto il mondo – è stata così grande. Tutti si inginocchiano davanti al “popolo”, alla massa, al proletariato – o comunque si preferisca chiamare l’elemento che, in modo cieco e ottuso, è servito da arma ai leader della rivoluzione mondiale. Il rimprovero di essere “nemico del popolo” fa oggi impallidire qualsiasi uomo politico.

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Che cosa significa, dunque, essere “di sinistra”? “Di sinistra” è il costituirsi come forma-partito, il credere nei partiti giacché questa categoria rappresenta (dal 1770) una forma liberale della lotta contro la società superiore, della lotta di classe, dell’anelito a maggioranze con il concorso di “tutti”: “sinistra” significa quantità invece di qualità, il gregge invece del signore. “Di sinistra” è l’avere un programma, giacché questa è la credenza intellettuale, razionalistico-romantica: di forzare la realtà applicandole astrazioni. “Di sinistra” è l’agitare e l’agitarsi chiassoso per le strade e nei comizi, l’arte di eccitare le masse da città con parole forti e ragioni mediocri. “Di sinistra” è il provare una passione delirante per masse viste in genere come base di potere personale, è la volontà di livellare ciò che spicca, di identificare il manovale con il popolo, dando oblique occhiate di disprezzo all’elemento rurale e a quello borghese. “Di sinistra” è, infine e soprattutto, la mancanza di rispetto per la proprietà, sebbene nessuna razza quanto la germanica abbia un così forte istinto del possesso.

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Il significato di maschio e femmina va perduto, e la volontà di perpetuarsi viene meno. Si vive solo per se stessi, non per l’avvenire delle generazioni. Per il contagio diffuso dalla città, la Nazione in quanto società – all’origine il plesso organico di famiglie – minaccia di dissolversi in una somma di atomi privati, ciascuno dei quali mira a trarre dalla propria vita e da quella degli altri la massima quantità di piaceri: panem et circenses.

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I popoli bianchi, fino a che punto si sono inoltrati in questo pacifismo? Il chiasso contro la guerra esprime una posa intellettuale, un atteggiamento astratto, oppure rivela la consapevole abdicazione alla storia, a prezzo della dignità, dell’onore, della libertà? Ma la vita è guerra. Il bisogno di una quiete da fellah, di un’assicurazione contro tutto ciò che disturba la piatta quotidianità, contro il Destino in ogni suo aspetto, sembra aspirare a questo esito: una sorta di mimetismo dinanzi alla storia mondiale, il fingersi morti di insetti umani di fronte al pericolo, l’happy end di un’esistenza priva di significato, segnata da una noia sulla quale musica jazz e balli negri intonano la marcia funebre della grande Kultur.

Ma questo non può essere, non deve essere. La lepre forse inganna la volpe. L’uomo non può ingannare l’uomo. L’uomo di colore scruta l’uomo bianco mentre questi discorre di “umanità” e di pace perpetua. Ne fiuta l’incapacità e l’assenza della volontà di difendersi. È necessaria a questo punto una grande educazione, che ho definito prussiana e che per quanto mi riguarda si può pure chiamare “socialista”. Una educazione che attraverso un esempio vivente ridesti l’energia sopita: non scuola, scienza, istruzione, ma disciplina dell’anima, che estragga le qualità ancora presenti e le assuma sino al culmine di una rinnovata potenza. Non possiamo permetterci di essere stanchi. Il pericolo batte alle porte. Gli uomini di colore non sono pacifisti. Non sono attaccati a un vivere il cui unico valore è la lunga durata. Se noi la deporremo, saranno loro a raccogliere la spada. Una volta essi temevano l’uomo bianco, ora lo disprezzano.

*Anni decisivi di Oswald Spengler (Edizioni di Ar, per ordini: info@libreriaar.com)

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