Sport. L’arpa, la croce e la palla (ovale): viaggio nel cuore d’Irlanda

jackie charltonSono tanti gli italiani d’Irlanda, li vedi passare abbronzati per le strade di  Dublino tra gli eleganti caffè di Grafton e i neon aggressivi di O’Connell Street. La sera li puoi trovare al Temple Bar, inconfondibili anche quando si mischiano agli spagnoli fuori del Busker’s o al piano superiore dell’Oliver Gogarty Pub, luogo di culto del folk irlandese. Poi ci sono loro, gli italiani arrivati tanti anni fa per lavorare, lavorare davvero, quasi tutti giunti dall’entroterra frusinate, il comprensorio della Val di Comino nei pressi di Sora, come testimoniano inequivocabilmente i loro cognomi… Forte, Scappaticci, Cascarino (vi ricorda nulla?)… Oggi lavorano in buona parte nei tanti fish & chips aperti a suo tempo dai loro padri e dai padri dei loro padri. Quando vivevo a Drumcondra la sera, dopo il pub, mi fermavo sempre al Roma Take Away di Italo, altro luogo cult del Northside con immancabile foto di Padre Pio e busto del Duce. Il fegato intanto chiedeva spiegazioni e un giorno mi informò che era tempo di salutare patatine e cheddar cheese (per l’alcol ci mettemmo d’accordo). Sfrattati dal centro di Dublino e rifugiatisi nella più economica ma non meno vivace periferia, i nostri hanno stravinto il derby del fritto con i cinesi, creando una leggenda e – ahimè – uno stereotipo ricordato in tante opere di oggi e di ieri, non ultimo l’Ulisse di Joyce. Strano destino di questi passeggeri dell’eternità, così li chiamerebbe il magnifico Yeats, giunti dai monti sorani a domare pesci – il cod, il turbot, l’hallibut – peraltro sconosciuti nei nostri mari. Una scelta difficile in una terra mai troppo generosa neppure verso i propri figli, decimati da guerre, carestie e vicini poco amichevoli. Spesso, in un italiano che definirei audace, parlano ai loro fratelli giunti numerosi da Ragusa a Bolzano per rincorrere l’aroma di una Guinness, il profilo di una Croce Celtica, o i tratti gentili della gente d’Irlanda. Qualunque sia il motivo per cui sono qui, gli italiani nell’isola di smeraldo non cercano né stadi, né magliette di calcio come farebbero sicuramente altrove, un po’ come Carlo Verdone nel suo celebre viaggio di nozze cinematografico. Tra le tante affinità che accostano gli irlandesi alle nostre latitudini, dal temperamento alla spiritualità, dal passato sofferto allo straordinario patrimonio culturale, non troviamo infatti il pallone, non quello rotondo di cuoio almeno. Loro, i Latini del Nord, preferiscono di gran lunga gli sport della tradizione gaelica, dal football della GAA all’hurling (camogie nella versione al femminile, si fa per dire), un retaggio culturale che affonda le proprie radici nel sofferto anelito diindipendenza raggiunta solo dopo secoli di dominazione britannica. Al limite, dovendo necessariamente cedere ad un’imposizione degli odiati inglesi, gli irlandesi hanno scelto la palla ovale, riuscendo a sviluppare un movimento rugbystico di tutto rispetto attraverso l’attività giovanile nei college e regalando non poche gioie ai tanti appassionati che seguono la Nazionale allo stadio di Lansdowne Road.

Quest’ultimo, recentemente trasformato in un tristissimo scatolone colorato chiamato Aviva Stadium, viene prestato sistematicamente alla nazionale di calcio che non dispone di un proprio impianto, mentre gli adepti del football gaelico possiedono un vero tempio, Croke Park, il cui profilo possente e magnifico si staglia negli affollati quartieri di Drumcondra nella zona nord di Dublino. Il suggestivo Northside, bello e dannato, ricordato anche nella struggente follia soul-alcolica di Jimmy Rabbitte nella celebre pellicola The Commitments (“…The Irish are the blacks of Europe. And Dubliners are the blacks of Ireland. And the Northside Dubliners are the blacks of Dublin”). Non lontano sorge Tolka Park, il campo dello Shelbourne, sbilenco ed irregolare come buona parte degli stadi in Irlanda. Al contrario, il calcio ha sempre faticato ad imporsi e ancora oggi non se la passa granché bene, con spalti semivuoti e giocatori assai modesti, gestiti da una federazione di veri dilettanti che, per molti versi, non fa che aumentare le affinità con il nostro Paese. Colpa anche della vicina Premier League inglese, i cui ricchi club paradossalmente godono di ampio sostegno tra gli sportivi irlandesi, almeno fino a quando gli scozzesi del Celtic Glasgow – il club formato nel 1888 dagli irlandesi in fuga dalla carestia – non verranno ammessi ai più avvincenti campionati di Sua Maestà. Bruciate tutto ciò che è inglese, tranne il carbone tuonava il presidente De Valera. Altri tempi, altri eroi. In ogni modo, il calcio moderno arrivò in Irlanda già nel lontano 1878 per merito di un uomo d’affari di Belfast, John McAlery, affascinato dal nuovo sport osservato durante un soggiorno nella vicina Scozia.

L’Irish Football Association fu creata nel 1880, un anno dopo la nascita della prima squadra irlandese, il Cliftonville FC di Belfast, oggi impegnata nei campionati dell’Irlanda del Nord (anche se non ufficialmente, è la squadra della comunità cattolica, come il Donegal Celtic, mentre il Linfield è sostenuto dai più numerosi protestanti) dopo la separazione delle sei contee. Erroneamente l’Irlanda del Nord viene spesso indicata con il termine Ulster che individua, invece, una delle quattro storiche regioni dell’isola e comprende anche tre contee, Donegal, Cavan e Monaghan appartenenti al Sud. Con la nascita dello Stato Libero d’Irlanda nel 1921 (Eire è il corrispondente gaelico) divenne inevitabile creare un nuovo organismo amministrativo e a Dublino nacque in questo modo la Football Association of Ireland. Degli gli otto club fondatori vanno senz’altro ricordati almeno i rossoneri del Bohemians F.C. – gli unici sempre presenti nella massima divisione – ed il St.James’ Gate, la squadra della celebre birreria Guinness il cui cancello d’ingresso è per l’appunto ricordato nella denominazione ufficiale della compagine, prima vincitrice del campionato da cui si è ritirata pochi anni fa. Lo Shamrock Rovers, la squadra più titolata del calcio irlandese, iniziò invece dalla Leinster League e subentrò subito dopo cominciando immediatamente a mietere successi. Oggi, dopo ventidue anni da nomadi, gli Hoops hanno lo stadio più moderno d’Irlanda. Il campionato fu ben presto appannaggio dei maggiori club di Dublino fino a quando,nel 1932, il Dundalk portò finalmente il titolo in provincia, nella contea di Louth, al confine con il Nord.

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Durante il secondo conflitto mondiale il campionato non venne sospeso e nel 1969 il torneo fu allargato a quattordici squadre ammettendo anche il Finn Harps di Ballybofey che così allargò i confini del calcio nazionale fino al suggestivo e selvaggio Donegal. Nel 1985 venne introdotta anche la seconda divisione (oggi chiamata sciaguratamente First Division, come in Inghilterra e Scozia) cui si iscrisse anche il Derry City, la squadra dell’omonima città cattolica dell’Irlanda del Nord, che preferì evitare le tensionied i pericoli legati alla tristemente nota situazione politica, i Troubles, come vengono eufemisticamente chiamati nell’isola. Due anni orsono il campionato fu vinto dallo Sligo Rovers che riportò così il titolo all’ombra del Bul Bulben dopo ben trentacinque anni, superando la concorrenza delle forti squadre dublinesi che possono annoverare anche il vecchio Shelbourne ed i Supersaints del St. Patrick’s Athletic, più volte campioni negli ultimi anni. La massiccia ed ingombrante presenza delle squadre della capitale (che includono anche l’UCD, il club degli studenti universitari, il già citato Shamrock Rovers ed una manciata di ambiziose meteore dalla vita breve come lo Sporting Finglas, il St. Francis ed il Dublin City) del resto è da sempre uno dei motivi di scarso interesse del campionato che a tratti sembra assumere più i tratti di un torneo cittadino. Oggi le presenze negli stadi irlandesi sono assai contenute, ma fino agli anni Sessanta si registravano regolarmente medie oltre i venticinquemila spettatori. Se in ambito internazionale le squadre di club faticano a trovare una marcia regolare, pur riuscendo saltuariamente a conseguire risultati positivi, la Nazionale è riuscita indubbiamente a ritagliarsi a cavallo degli anni Novanta uno spazio dignitoso nel firmamento del calcio mondiale, sfruttando il periodo d’oro della guida di Jackie Charlton, l’inglese più amato – o meno odiato – d’Irlanda. Fino a poco tempo fa, tra alti e bassi, a guidare il Green Army erano due vecchie facce che non hanno bisogno di presentazioni, il Trap e “Schizzo” Tardelli. Ma il talento non abbonda e il calcio nell’isola di smeraldo sembra destinato a brevi apparizioni e ad episodiche fiammate, per poi sparire frettolosamente e soffermarsi in una mediocre apatia, facendo addirittura dubitare della sua esistenza. Se c’è, il pallone d’ Irlanda è nascosto davvero bene e ha poca voglia di rivelarsi al mondo. Come i folletti. Come i trifogli.

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Sandro Solinas

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