Chiesa. Le troppe contraddizioni e ambiguità dietro l’outing del presule Charamsa

preti-gay-panoramaIl teologo Krzysztof Charamsa al Corriere: «Voglio scuotere questa mia Chiesa. So che ne pagherò le conseguenze: l’amore omosessuale è un amore familiare, aprano gli occhi». Padre Federico Lombardi: «Lasci».

Suscita «amarezza» l’uscita del presule polacco in forza alla congregazione per la Dottrina della fede che ha confessato prima al Corriere della sera la propria omosessualità, per poi presentarsi in conferenza stampa con al fianco il compagno spagnolo. Un «nuovo caso Milingo», è stato definito. Ma di orientamento diametralmente opposto. «Voglio che la Chiesa e la mia comunità – ha detto Charamsa – sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana».

Insomma, l’ormai ex ufficiale di quello che un tempo era il Santo Uffizio, propone una sua teologia e un programma pastorale. E lo fa in apertura di Sinodo sulla famiglia. Una scelta di tempo che rischia di polarizzare il dibattito mediatico (probabilmente non quello reale) e inasprirlo. Ipotesi che manda su tutte le furie Papa Francesco, che dopo le scintille dell’assise straordinaria dello scorso anno, vuole che i risultati dell’assemblea sinodale che si è aperta formalmente ieri in Vaticano abbiano non solo un esito condiviso, ma anche una forma riconoscibile. A tal proposito, il notista di via Solferino, Massimo Franco, propone un chiasmo efficace: «Concessioni sul piano dei toni, non della sostanza dottrinale».

Sotto questo profilo, Bergoglio ha già dettato la linea nelle sue storiche interviste. Quando aveva spiegato che da cardinale, di fronte ai quei casi di preti che intrattenevano relazioni con donne, li aiutava nel percorso di riduzione allo stato laicale. Insomma, per il Papa è fondamentale la chiarezza delle scelte e l’adesione alla promessa fatta. Il caso Charamsa non sembra andare tuttavia in questa direzione. Con tutto il rispetto alla persona e ai rispettivi travagli, il suo profilo non ricalca affatto quello di un povero curato di campagna.

Ma c’è di più, l’accusa lanciata in conferenza stampa ai danni della congregazione in cui ha lavorato per 17 anni, pone degli interrogativi inquietanti e crea sgomento nell’opinione pubblica credente e non. Affermare che essa rappresenti «il cuore dell’omofobia della Chiesa cattolica», dopo che lui stesso ha detto di aver lavorato e promosso i testi in cui si rubrica l’omosessualità a «disordine», provoca il torcicollo. Tutto ciò può ingenerare una triangolazione per niente aderente al vero: a) Il Santo uffizio è un’enclave di preti omosessuali; b) è una centrale dedita “all’odio omofobo”; c) i preti omosessuali sono omofobi. Un corto circuito bello e buono che consegna (o potrebbe consegnare) l’immagine di una Chiesa votata mani e piedi all’ipocrisia.

E dire che la Congregazione che fu di Ratzinger ha come missione quella di razionalizzare, schiarire e sciogliere questioni controverse. Il papa emerito lo intendeva come servizio «ai più deboli», ovvero verso chi non ha le conoscenze necessarie per difendersi dalle uscite dei teologi. E francamente, questa immagine è di gran lunga più efficace ed eroica rispetto quella offerta da Charamsa, e di questo se n’è accorto anche il mondo progressista.

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Fernando Massimo Adonia

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