StorieDiCalcio. Trecento volte “Re di Roma”: il record di Francesco Totti

Totti
Francesco Totti

Domenica ore 15, l’orario del pallone. All’Olimpico il Sassuolo sta tenendo sotto la Roma. Al 36’ il portiere neroverde Consigli rinvia male, Pjanic intercetta il pallone, un tocco soltanto e serve Francesco Totti. In tv ci si vedrà poi che è in posizione irregolare, ma lì per lì non se ne accorge nessuno, e così il Capitano stoppa il pallone, tira ciccandolo un po’ ma è comunque efficace perché spiazza l’estremo difensore emiliano e pareggia. Non un gran gol, Totti ne ha fatti di molto più belli e sicuramente molto più importanti, ma quello è il suo 300°. E a certe vette non ci si arriva per caso, o sei un fuoriclasse o ti va bene arrivare a un centinaio. Specie se poi questo record è legato ad un solo club, evento più unico che raro.
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Trecento gol in 21 anni di carriera. Tutto cominciò il 4 settembre del ’94, ovviamente nel tempio dell’Olimpico, neanche a dirlo con la maglia della Roma. Un’altra epoca, nessun nome sulle maglie, Carletto Mazzone in panchina, e in Curva Sud c’era ancora il Commando Ultrà. A Roma per la prima di campionato arrivava il Foggia di Catuzzi, eredità lasciata da Zeman finito nel frattempo alla Lazio. Quel giorno Mazzone, vista l’indisponibilità di Balbo, decide di affiancare a Fonseca e Cappioli questo ragazzino non ancora maggiorenne dell’Appio Latino con i piedi buoni, che Vujadin Boskov (un altro che la sapeva lunga) aveva già fatto esordire in serie A, due anni prima a Brescia. Al 29’ il biondissimo svedese Jonas Thern crossa in area verso Fonseca il quale, di testa, serve indietro l’accorrente Totti che a botta sicura batte il rimpianto portiere materano Franco Mancini. Da quel giorno, non si è fermato più. Ha segnato in tutti i modi e a tutti quanti, con la Roma e poi pure con la Nazionale. Di destro, di sinistro, su punizione, a giro, di potenza, di testa, in rovesciata, accarezzando il pallone con la suola, al volo, di rapina, ciabattando, a pallonetto, o meglio facendo ‘er cucchiaio’.
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Il cucchiaio è diventato il suo marchio di fabbrica – come per Pirlo ‘la maledetta’, come per Del Piero il tiro a giro sotto la traversa, come per Maradona il sinistro magico – a partire da quella storica semifinale dell’Europeo 2000 contro l’Olanda in un Amsterdam Arena completamente arancione, quando ai rigori fece questo scavetto lentissimo a Van der Sar ,così lento da far saltare un battito a mezza Italia, spaventata dallo spettro della sconfitta e dell’indeterminatezza che poteva portare quel rigore se l’avesse sbagliato. Gli andò bene e da allora se dici ‘cucchiaio’ pensi a Totti. Una volta, a dirla tutta, gli si ritorse contro, quando Sicignano del Lecce glielo parò e lui se la prese tanto da rischiare di menargli. Esempio pratico della sua romanità, a volte un po’ sbruffona e pure permalosa quando le cose non vanno bene, ma sintomatica di un cuore grande e passionale.

Pregi e difetti comuni a tanti figli della città eterna, città che in maniera passionale e forse eccessiva lo ama, lo esalta e lo critica, ma venendo comunque ricambiata dal suo numero 10. Così ricambiata da spingerlo a rifiutare le suadenti sirene milanesi o spagnole che gli cantavano di gloria e successi pur di rincorrere una chimera, un sogno impossibile e coraggioso: vincere a Roma, a casa sua, là dove è spesso difficile anche a causa della stesso ambiente. Quante sessioni di mercato lo hanno visto vicino al Real Madrid o al Milan (o almeno per i giornali sportivi, poi vai a sapere..). Lì forse avrebbe vinto titoli, coppe, chissà forse anche il pallone d’Oro. Si è dovuto accontentare di uno scudetto e troppi secondi posti a Roma, ed una scarpa d’oro come miglior marcatore d’Europa, quello di solito riservato ai numeri 9. La Roma, dal canto suo, si è svenata pur di concedergli uno stipendio al pari dei fuoriclasse di Madrid.

E dire che una volta stava per essere ceduto per davvero, alla Sampdoria nel ’96, quando in panchina all’Olimpico arrivò Carlos Bianchi, che aveva fatto grande il Boca Juniors. All’argentino, Totti proprio non piaceva, e aveva dato il via libera alla sua cessione. Due gol all’Ajax e al Borussia Moenchengladbach in un torneo estivo convinsero la dirigenza a tenersi stretto un talento così limpido, e pochi mesi dopo fu proprio Bianchi ad avere il benservito. Da allora è diventata la Roma del Pupone, nonostante all’epoca fosse ancora giovanissimo. E Totti, con i mille soprannomi urlati da Carlo Zampa in radiocronaca e all’altoparlante dell’Olimpico, è diventato il simbolo della Roma, da mezza classifica o da vetta poco importa.

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Una storia di gol. Ma se il destino è stato avaro di successi con il Pupone, lui non lo è stato nel far vedere la sua classe, facendo innamorare tifosi inventandosi gol e assist che tutti noi abbiamo solo sognato. Come quello a San Siro all’Inter, inviolabile per la Roma da vent’anni fino a quella sera, quando partì da centrocampo, si scartò mezza difesa nerazzurra e poi, d’improvviso il genio, quello che in ‘Amici Miei’ definiscono come “fantasia, intuizione, colpo d’occhio e capacità d’esecuzione”: Julio Cesar è fuori dalla porta quel tanto che basta, così Totti-gol decide per il pallonetto da fuori area e segna lo 0-2 nello stupore del Meazza. E che dire dei due gol al volo di sinistro ad incrociare, prima nel 2001 contro l’Udinese e poi a Marassi contro la Samp nel 2006, da posizione ancor più defilata? Persino i tifosi della Doria si alzarono in piedi per applaudirlo, nonostante fosse il 4° gol preso dalla loro squadra. Ed ancora il gol al Bernabeu che permise alla Roma di compiere l’impresa di sconfiggere il gigante Real a domicilio; la fucilata contro la Juve di qualche stagione fa, il rigore al 95’ contro l’Australia (che ancora se lo sognano quel suo sguardo glaciale) nella cavalcata che portò l’Italia a vincere il Mondiale a Berlino. Il gol di potenza che aprì le danze e tolse di dosso la paura quel 17 giugno del 2001 contro il Parma, quando la Roma vinse il campionato. Il cucchiaio definitivo nel derby dell’ 1-5, e sempre nel derby, lo scorso gennaio, il gol in semirovesciata degno della copertina delle figurine Panini, il suo secondo della giornata a 39 anni suonati.
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La lista è lunghissima, 300 gol appunto. E tantissimi passaggi no look geniali a volte col tacco e assist illuminanti come quello strepitoso a tagliare in due il campo in quel maledetto Roma-Slavia Praga, quando servì a Moriero il pallone del momentaneo 3-0 che stava significando semifinale di coppa Uefa, in un Olimpico impazzito per la folle rimonta. Ed aveva solo 18 anni.

Il personaggio. Oltre alla sua classe in campo, Totti negli anni è diventato famoso per tante altre cose, in positivo e negativo. Qualche comportamento poco sportivo, tipo lo sputo a Poulsen in Nazionale, un cazzotto a Colonnese e qualche reazione in campo che gli sono valsi più di una volta pesanti gogne mediatiche, ma pure tante esultanze imprevedibili e divertenti, dalla maglietta v’ho purgato ancora” in un folle derby nel secolo scorso al pollice in bocca, o il parto con un pallone in omaggio al travaglio della sua Ilary, ma anche l’inquadratura alla Sud con una telecamera o il geniale selfie sotto la curva che ha fatto il giro del mondo (ne è stato fatto anche un giocatore del Subbuteo in posa da selfie). E ancora le sue recitazioni improbabili in alcuni spot e le sue barzellette che hanno fatto scompisciare mezza Italia, spesso in combutta con Del Piero e Buffon.

Del Piero non ha voluto mancare di fargli i suoi auguri per il traguardo, come pure Balbo, Giannini, Cassetti, Candela, Panucci, Javier Zanetti e Roberto Mancini, i suoi eredi De Rossi e Florenzi e tanti altri. Persino Topolino, che già in passato ha paperizzato il capitano romanista, omaggerà Papertotti e i suoi 300 gol. E quindi, 100 di questi anni, 100 di questi gol sono gli auguri che sono arrivati a questo eterno ragazzo di Porta Metronia, forse ultimo esemplare in circolo di un calcio che ormai non esiste più. E quei 30 gol che ancora mancano per arrivare a Piola non sono così lontani..per cantarla con un altro monumento alla longevità come Bruce Springsteen, “nessuna ritirata, credimi, nessuna resa“.

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Michele Mannarella

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