Il caso. Trevisan lascia il rugby e la Nazionale: “Ciao a tutti, mi faccio prete”

trevisan ruggeroChe tra il rugby e il cristianesimo ci fosse un filo sottile, se n’è accorto chiunque abbiamo calcato almeno una volta il campo di gioco. Sacrificio, sofferenza e spirito di fratellanza tra compagni, ma anche verso gli avversari. Se non è questo il catechismo, poco ci manca. E poi c’è una vaga teologia dello sport da tenere perlomeno in considerazione. Chi può negarlo? Tra il principio che per andare avanti bisogna passare la palla sempre indietro e l’idea di un dio che si sia è fatto uomo per far sì che l’Uomo si faccia Dio, la distanza è davvero poca. Il tempo di un scatto bruciante sui cinque metri, oppure di un concetto da abbracciare con un placcaggio alle caviglie, di quelli cioè che ti fanno crollare alla stessa maniera di un Paolo in marcia verso Damasco (senza cadere dal cavallo, che – con buona pace del Caravaggio – non c’era affatto).

Ruggero Trevisan ha buttato il cuore oltre l’ostacolo e si è affidato con piena fiducia a Gesù. Si tratta dell’estremo della Benetton Treviso e della Nazionale, che ha appeso scarpini e paradenti per entrare in seminario. Parliamo di un vero campione della palla ovale. Oggi ha venticinque anni, per il futuro lo attendono anni di studi filosofici e teologici e  una divisa da missionario. La sua vicenda è stata scovata da Repubblica, giornale che da qualche tempo – da quando cioè Bergoglio è Papa e Scalfari un po’ meno sicuro della sua laicità – è molto più attento alle cose di fede. Ed è una storia bella, luminosa.

Quando ai compagni di squadra ha detto “lascio e mi faccio prete”, nessuno ha pianto. Semmai è stata una festa, quasi un terzo tempo dal vago sapore pasquale. Dopo un primo incontro con la comunità di Cl e l’insegnamento di don Giussani, Trevisan ha scoperto la fede e l’amore per gli altri. Così ha rinunciato a un bel contratto e a una carriera promettente. L’unico guadagno è che forse ora prenderà qualche botta in meno.

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Ma solo forse. San Paolo, che era un atleta e le Scritture ce lo descrivono con una resistenza muscolare da olimpionico, dopo la conversione ne ha prese tante, ma proprio tante. In fondo, gli allenamenti presso l’accademia di Tarso, per lui, sono stati tutt’altro che vani. Grazie a questi, infatti, è riuscito a girare per ben due volte il Mediterraneo a piedi predicando il Vangelo e a salvarsi dal naufragio in mare. Ruggero Trevisan potrebbe non essere da meno. La natura è quella. Sarà poi la grazia – come dicevano gli scolastici – a portare a perfezione quella stessa natura che in lui è già bella che sviluppata.

Non annoveratelo tuttavia tra gli atleti di Cristo. E non immaginatelo neanche alla stregua di Neymar Jr che alza la coppa dalle grandi orecchie con in testa una fascia dal chiaro contenuto religioso. Il confronto con Nicola Legrottaglie, campione di Chievo, Juve e Calcio Catania, non regge neanche. Trevisan non è più atleta, ma soltanto di Cristo. Ha compito una scelta netta, radicale. Dove la disciplina, e perché no i riflettori del successo, hanno lasciato spazio alla povertà, ma di quella “in spirito”.

@fernandomadonia

@barbadillo

 

Fernando Massimo Adonia

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