Artefatti. Guido Keller, l’ingestibile che fece della sua vita un capolavoro

keller_nettunoPerlustrando a distanza di un secolo i perigliosi scenari primo novecenteschi, ci si imbatte in un personaggio misterioso, barbuto e scapigliato,ardimentoso e romantico, che corrisponde al nome di Guido Keller. Nato nel 1892, proveniente da una nobile famiglia milanese di origine svizzera, Keller si distinse come spericolato aviatore nella squadriglia del leggendario Francesco Baracca nei cieli europei, infiammati della Grande Guerra. Fondatore della Brigata “La Disperata” (la guardia del corpo del Comandante: “Alcuni elementi moralmente impuri non la deturparono, ma le diedero un colore crepuscolare di gente maledetta dai saggi e dai mediocri, che costituì il suo fascino più orgoglioso” scrisse a tal proposito Giovanni Comisso.), che nei pensieri dei promotori avrebbe dovuto riprendere la tradizione militare delle compagnie di ventura, nonché della rivista “La Testa di Ferro” e del gruppo esoterico Yoga – Unione degli spiriti liberi tendenti alla perfezione, trova notorietà definitiva nei fatti collegati all’impresa fiumana, tra i legionari a fianco di Gabriele D’Annunzio.

Definito uscocco – dallo slavo “saltar dentro”, con ciò intendendo la vocazione all’arrembaggio – dal Vate per la spiccata attitudine libertaria ma al contempo combattente, Guido Keller condensa nella sua figura stravagante misticismo ed azione, eleganza e svacco, patriottismo e cosmopolitismo. Nei suoi fulminanti 37 anni di presenza al mondo sintetizza tutta quell’apologia della giovinezza caratteristica dell’epoca, personificando così grazie alla condotta imprevedibile il motto “vivi al massimo, muori giovane e lascia di te un bel cadavere” che molti anni dopo servì alla cinematografia per tratteggiare la figura del tipo fuori dalle regole, nel film Una vita al massimo di Tony Scott. Effettivamente quello che stupisce di questo personaggio ingestibile – soldato e artista per il quale non solo la divisa, ma pure gli abiti civili erano orpelli dei quali fare volentieri a meno – è il piglio antiborghese, insofferente alle piccole e grandi ipocrisie politiche e sociali, ma al contempo naturalmente portato all’eleganza. Un’eleganza disinibita e certo non priva di eccentriche pose da dandy, all’epoca certamente inedita, anzi in netta contrapposizione con i codici del bon ton ancora impaludati nel formalismo ottocentesco.

Certo è che nella breve vita dell’aviatore dal cognome teutonico si sprecano le azioni fuori dalle righe, in netto anticipo sul calendario “avanguardista” mummificato poi nelle parole d’ordine di regime. All’insegna del primigenio e sincero Me ne frego! si colloca l’episodio forse più emblematico di una vita indissolubilmente intrecciata con lo spirito d’avventura, ovvero il lancio del pitale, altresì detto vaso da notte od orinale, sul tetto di Montecitorio come gesto di spregio nei confronti della pavidità governativa romana. Vilipendio ed atto osceno in luogo aereo, si direbbe; ma per Keller, abituato a sorseggiare tè in tazzine di pregiata porcellana o a leggere Don Chisciotte ad alta quota, mentre pilotava il velivolo, ciò si poneva nel naturale corso degli eventi.

Erano quelli tempi di parole nuove per gesta irripetibili, anni furibondi e rapidissimi che, se da un lato portarono i protagonisti a confluire, assieme al Futurismo, nel prologo della Marcia su Roma (esaurendosi poi in leggendaria eco, pittoresca ed ormai inservibile ribellione), dall’altro anticiparono con originalità e con parametri estetici ben più eleganti i subbugli del ’68. Guido Keller, ormai fuor contesto e prosciugato dal furore rivoluzionario degli anni fiumani, stremato dall’uso massiccio di cocaina ed insofferente al cerimoniale totalitario nel quale l’Italia s’apprestava a genuflettersi, si spense in povertà dopo aver girato mezzo mondo, dormito nudo su un albero in compagnia di un’aquila e aver fatto in tempo a scendere in picchiata dalle stelle. Lasciando ovviamente le stalle agli epigoni.

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Donato Novellini

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