Eppure c’erano una volta le ferrovie siciliane. Attraversavano tutto il nostro entroterra, costeggiavano litorali da sogno, contenevano nei vagoni affollati i sogni dei tanti migranti che con la “Freccia del Sud” cercavano migliori fortune, trasportavano i pendolari al lavoro e facevano spalancare gli occhi ai turisti stupefatti. C’erano per l’appunto. Adesso, come si vede, ben poco è rimasto di quelle ferrovie: chilometri di binario unico, vetture che ancora sono alimentate a diesel, lentezza esasperante, ritardi cronici e mancanza di collegamenti. Il quadro delle ferrovie isolane, in maniera analoga a quello delle ferrovie sarde, è a tinte fosche.
Chi scrive ha avuto il nonno ferroviere a Vittoria, in provincia di Ragusa. Una città adagiata in una pianura sterminata e fertile, con un traffico ferroviario di tutto rispetto, specie per le merci e snodo importante verso Gela. A Vittoria vi era anche una struttura per ospitare i ferrovieri che venivano numerosi dalle altre città della provincia, la quale dopo decenni di abbandono e incuria adesso diverrà un centro di accoglienza per i migranti. Adesso sono pochissimi e sparuti i treni che passano da Vittoria: andando alla stazione vi sono invece sciami di autobus che portano gli studenti a Ragusa, Catania e Palermo. I signori del trasporto sul gomma hanno avuto la meglio su una ferrovia lenta, inefficiente e rimasta pressoché immutata dagli anni ’30 a oggi.
Facendo una ricerca sempre sul portale Trenitalia si scopre il livello del servizio delle ferrovie: per percorrere i circa 100 chilometri che separano Vittoria da Catania il treno più veloce, che cambia a Gela, ci impiega quattro ore, mentre – come dicevamo all’inizio – si arrivano a toccare picchi anche di sei ore con un costo che è più elevato rispetto al bus. Le ultime novità riguardano l’intenzione di Rete ferroviaria italiana di vendere gli scali merci ferroviari, ciò potrebbe dare il là anche a speculazioni immobiliari da parte di privati e di chiudere i rami secchi costituiti dai “secondi binari”, lasciando quindi parecchie stazioni con un solo binario e riducendo la possibilità di scambi e incroci di treni. In pratica un altro passo verso il baratro.
Baratro che già lo scorso mese si è ampiamente toccato con svariati collegamenti soppressi, come quelli da Palermo, con Trapani e Agrigento, e quelli tra Catania e la città dei templi e una serie di linee interne alle diverse province. Il tutto per un totale di 105 collegamenti soppressi. Per percorrere i circa 100 chilometri tra Trapani e Palermo in treno ci vogliono almeno due ore e mezzo, mentre dal capoluogo a Catania occorrono oltre quattro ore, visto che esiste soltanto un regionale veloce in tutta la giornata che impiega tre ore, mentre da Messina a Siracusa (160 chilometri) occorrono non meno di due ore e mezza.
Anche la splendida piccola stazione che si trova proprio ai piedi del castello di Donnafugata, nella provincia iblea, è una storia tutta siciliana. La stazione fu voluta dal barone Corrado Arezzo, il quale, come al solito, con le raccomandazioni politiche riuscì a far deviare il tracciato della Ragusa – Comiso in modo da poter avere a disposizione i treni proprio sotto la sua dimora. Adesso, quella che dovrebbe essere una stazioncina gioiello e tenuta in perfetto ordine per le frotte di turisti che visitano il castello, set anche di alcune puntate di Montalbano, è tristemente chiusa. Il cancelletto è tenuto chiuso da uno spago malfermo e la sporcizia regna ovunque, quando va bene passa un solo treno. Mandando al diavolo proprio il settore che ci dovrebbe far vivere: il turismo.
Per non parlare del ritardo cronico dei treni siciliani: il comitato pendolari isolano ha calcolato 7035 minuti complessivi nel solo mese di febbraio. E così il siciliano attende solitario in mezzo ai binari un treno che non passerà mai.