Il punto. Il Veneto felix di Zaia non sia la Valtellina del centrodestra

Luca Zaia
Luca Zaia

I numeri si sprecano e viene voglia di giocarli alla lotteria. 7-0, 6-1, 5-2, 4-3… L’unica partita che registra il vantaggio del centrodestra è quella nel Veneto, dove Luca Zaia della Lega ha ampi margini per tornare governatore, nonostante la defezione del sindaco di Verona, Flavio Tosi (passato con i centristi). In più regioni il M5S si confermerà forza in grado di catalizzare un elettorato spaesato e protestatario, anche per la maggiore comunicazione tradizionale utilizzata dai componenti del Direttorio (tiepidamente autonomista rispetto ai diktat di Grillo e Casaleggio).

Le altre sfide Restano in bilico la Campania e la Liguria: il socialista-forzista Stefano Caldoro sta inseguendo lo sceriffo dem De Luca, mentre Giovanni Toti, consigliere del Cavaliere, sogna con la sponda di Pippo Civati lo sgambetto a Raffaella Paita, continuista della satrapia di Burlando. Le altre regioni saranno test per spezzoni ridotti dell’opposizione, impegnati in alleanza “strane”: su tutte la Puglia dove Salvini e Forza Italia con Adriana Poli Bortone potrebbero superare le liste di Fitto (in appoggio al centrista Francesco Schittulli) proprio nel feudo dell’eurodeputato salentino. In Toscana e Marche sarà interessante riscontrare la tenuta dell’asse Lega-Fratelli d’Italia, molto apprezzato dai militanti dei due movimenti.

Veneto Valtellina del centrodestra?

Non basta confermare Zaia per riprendere a tessere il filo di una narrazione alternativa al renzismo. Il Veneto consente alla Lega di mantenere un profilo governista e un interlocuzione preziosa con i ceti produttivi (come già in Lombardia), ma oltre lo schema superato berlusconiano non si intravede ancora una rotta da indicare al popolo del centrodestra. Il risultato pugliese di Noi con Salvini potrebbe dare un segnale di penetrazione della Lega nazionale, ma in un contesto di fratture personali e politiche davvero inspiegabili all’elettorato. Fratelli d’Italia, con Giorgia Meloni su posizioni più marcatamente reazionarie, potrebbe far tornare rilevante il peso politico e culturale dell’area ex An, ma sullo sfondo resta insoluto il nodo Fondazione: è assurdo continuare a tenere un forziere di risorse e sedi congelate, salvo promuovere convegni su Almirante o sul Piave…

Il deficit in queste settimane, inutile nasconderlo, è stato per il centrodestra tutto sia programmatico che organizzativo (al di là dello slogan “primarie-primarie” nessuno sa come rimettere in piedi una struttura capillare per dialogare con il popolo): queste lacune rendono sempre più attraenti le sirene di Renzi per chi cerca semplificazioni e slogan beneauguranti. Non basta sventolare il santino di Cameron per immaginare una riscossa e a livello amministrativo lo scarso raccolto del Front National di Marine Le Pen nelle dipartimentali deve servire da monito.

E’ necessario, invece, un doppio binario: una proposta per le generazioni che hanno abbandonato il fronte conservatore e non conoscono abbastanza le piattaforme sovraniste, e una rinnovata presenza nei territori con un profilo articolato e non solo protestatario.

Se non si innesca un percorso costituente, che faccia i conti con la nuova legge elettorale, e colmi le falle degli attuali partiti di centrodestra (divisi in Italia, nelle regioni e nel parlamento europeo tra popolari, conservatori e i non iscritti della Lega lepenista), il Veneto corre il rischio di diventare la Valtellina di una coalizione in ritirata, costretta a rinchiudersi in un identitarismo vecchia maniera, senza ganci con la società italiana più dinamica, con l’innovazione e con il mondo del lavoro. Insomma un centrodestra che ringhia e si divide all’interno è l’avversario ideale per l’attuale inquilino di Palazzo Chigi (che gli italiani non hanno scelto).

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Gerardo Adami

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