Calcio. Non parlate ai conducenti: la Figc vieta i “rapporti” tra giocatori e tifosi

Un dialogo tra un giocatore del Genoa e la curva
Un dialogo tra un giocatore del Genoa e la curva

Mai più giocatori sotto le curve a fine partita. Il consiglio Figc ha approvato le annunciate sanzioni in merito al divieto di contatti tra calciatori e tifosi inserendo due commi all’articolo 7 del Codice di Giustizia Sportiva. Al comma 8 si proibisce “di avere interlocuzioni con i sostenitori nel corso dell’attività sportiva (NdR: ritiri, allenamenti, gare) e/o di sottostare a manifestazioni e comportamenti degli stessi che, in situazioni collegate allo svolgimento della loro attività, costituiscano forme di intimidazione, determinino offesa, denigrazione, insulto per la persona o comunque violino la dignità umana”.

Nel successivo comma 9 si vieta ai tesserati “di avere rapporti con rappresentanti di associazioni di sostenitori che non facciano parte di associazioni convenzionate con le società”. Simili contatti, in ogni caso, “devono essere autorizzati dal delegato della società ai rapporti con la tifoseria”.

Ancora non è dato sapere di quale entità saranno le sanzioni (il consiglio ha dato delega in materia al presidente Tavecchio), ma le norme si prestano alle interpretazioni più grottesche. Messa in questi termini, sono punibili anche i giocatori che firmano autografi ai bambini durante un allenamento. E cosa si intende parlando di “rapporti con rappresentanti di associazioni di sostenitori”? Significa che, per esempio, un calciatore non potrà vedere una partita in curva se squalificato, o prendere un caffè in un bar se è un luogo di ritrovo abituale dei tifosi? In assenza (per ora) di elementi identificativi, per esempio una stella gialla sul petto, il giudice sportivo dovrà verosimilmente esprimersi sull’appartenenza o meno di un tifoso ad un’associazione “non convenzionata” con i club (leggi: i famigerati ultras) in base al numero di tatuaggi o alle scritte sulla maglietta.

Sembra già di vedere le scene: “bella vittoria domenica!” “mi scusi, non posso interloquire”. Pensare che uno degli aneddoti più commoventi sul compianto Gaetano Scirea, raccontato dalla moglie Mariella, riguardava proprio il suo rapporto extracalcistico coi tifosi: “Quante volte Gai, dopo l’allenamento, mi piombava a casa all’ora di pranzo con quattro sconosciuti. Diceva: “Mariella, questi signori hanno fatto centinaia di chilometri per venire a vedere la Juve e ho pensato che dovevano pur mangiare qualcosa”. Ecco, questo era Gaetano Scirea fuori dal campo”. Oggi come oggi, per una cosa del genere si beccherebbe quella squalifica che non ha mai avuto in 16 anni di esemplare carriera.

L’ennesimo episodio di cretinismo sanzionatorio che ha investito il nostro calcio trae origine dalla contestazione dei romanisti alla squadra dopo l’eliminazione in coppa Italia contro la Fiorentina. Contestazione che, giova ricordarlo, non ha visto violenze di nessun genere, se non quelle ipotetiche denunciate dai soliti indignati speciali. L’idea di stadio-panopticon che è propria di questi ultimi è stata ben descritta da Massimo Ilardi sul Garantista, in risposta un’intemerata di Maurizio Crosetti di Repubblica.

Perché come al solito è l’editorialismo morale a dettare la linea alle istituzioni del calcio e perfino a chi gestisce l’ordine pubblico. Se fossimo in un poliziottesco anni Settanta, si potrebbe titolare “i tromboni sparano, lo stadio non può reagire”. E meno male che questi volevano trasformare i campi da calcio in teatri: perlomeno nei loggioni si riconosce allo spettatore pagante il diritto di fischiare alla fine dello spettacolo, se la recita non è piaciuta. Ma forse nemmeno la Scala è abbastanza depurata dagli ultras.

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Paolo Montero

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