Per lo scrittore calabrese, Giuda è un uomo che si è smarrito, piuttosto che un traditore è un uomo che non ha saputo attendere, che non ha capito che il Messia non colpiva con la spada ma con il cuore: “Gesù gli teneva la mano. Non hai sfidato me – gli dice – ti sei voluto sfidare. Il tuo peccato non è il tradimento, è quello di non essere stato capace di resistere e di aspettare. Non hai saputo sperare”. E così non si è perdonato, malgrado il perdono di Gesù: “Gesù si incamminò tra gli ulivi e con una mano prese un ramoscello. Non parlò ma continuò a guardare Giuda e ad osservarlo attentamente. Gli fece segno. Giuda si avvicinò. Gesù prese il ramoscello che aveva tra le dita e lo spezzò. Metà del ramoscello lo tenne per sé”.
Questo libro, in realtà, come altri di Bruni, non è un romanzo né un diario, ma un racconto lirico, ci parla di una ricerca, di un percorso di fede, di quel viaggio che è la vita. Scrive Bruni: “Resto un viaggiatore. Forse insonne o svaghito. Ma nel viaggio ho sempre più la necessità di non perdermi e di ritrovare gli intrecci di una memoria lunga che mi riporta alle radici.” E quali sono le nostre se non quelle legate alla cristianità? Bruni dialoga con le figure principali del dramma evangelico, Giuda e Maria di Magdala soprattutto, le reinterpreta, fa i conti con la Tradizione, si interroga sulla propria fede, sull’uso della ragione, sul mistero.
Oltre le storie c’è poi l’Oriente, con il suo fascino e i suoi paesaggi (non meramente descritti, ma filtrati dal ricordo, correlati ai suoi stati d’animo) e una figura femminile immaginaria cui l’autore si rivolge nell’ultimo capitolo del libro, Nadine (il cui nome significa non a caso speranza). Al pari di Pierre Drieu la Rochelle, che nell’ultima parte della sua vita si era accostato all’induismo cercando gli elementi comuni alle varie tradizioni religiose oltre i dogmi e i riti, così Bruni partendo dalla tradizione cristiana (che nasce in Oriente) incontra altre tradizioni orientali come quella islamica e sciamanica.
Ricordiamo che la pietra simboleggia il cosmo o la divinità tout court, che nel mondo islamico alla Mecca viene venerata una pietra nera considerata il centro del mondo, l’intersezione tra divino e umano. E che nella cristianità la pietra è simbolo di fermezza, di salvezza, di indistruttibilità, rappresenta la Chiesa. Nelle ultime righe del racconto così Bruni riassume il suo cercare: “La pietra d’oriente non è un amuleto. Ogni storia perde la sua storia quando il tempo diventa viaggio. Leggi nei riflessi della pietra. L’oriente ti parlerà. Tutto è incompiutezza”.
Pierfranco Bruni, “La Pietra d’Oriente”. Pellegrini editore, pagg. 132, € 12.