Tutto è cominciato il 19 giugno del 2011. Lotito se ne stava beato a Roma, la Salernitana disputava la finale di ritorno playoff contro il Verona di Andrea Mandorlini. Arechi pieno, una bolgia. Vincere per sopravvivere, quella società non ne aveva più. Remuntada, all’andata gli scaligeri avevano vinto due a zero. Quel giorno, la Salernitana vince uno a zero. In B ci va l’Hellas, la Salernitana fallisce e Mandorlini canta “Ti amo terrone”.
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L’estate è convulsa. Quel che resta del titolo sportivo, ora, è in mano al Comune di Salerno. Al sindaco Vincenzo De Luca arrivano una decina di proposte. Alcune decisamente variopinte. Basta avventurieri, però. La ridicola parentesi dell’improbabile zio d’America Joseph Cala, quello che voleva il Torino e che dopo Salerno ha inguaiato pure il Lecco, aveva già depresso troppo l’ambiente. Una vocina comincia a diffondersi. No, non è vero. Anzi, sì. Lotito vuole la Salernitana perchè ha bisogno di una squadra satellite della Lazio, sarebbe perfetta per lui. Una piazza tosta dove svezzare i campioncini biancocelesti. L’accordo si trova (quasi) subito. Claudio Lotito si presenta, al Comune, insieme al cognato Marco Mezzaroma che, in quel periodo, era sentimentalmente legato all’ex ministro Mara Carfagna, salernitana.
La storia non è tutta rosa e fiori. Dalle trasferte sarde, sui campi in terra battuta del Lazio fino a quello che – a due giornate dalla fine – può essere il campionato dei record dato che la Salernitana, con 79 punti, può insidiare il primato che tuttora appartiene al Bologna di Renzo Ulivieri nel 1994/95. Momenti di tensione ce ne sono stati, a iosa. Dagli allenatori regolarmente silurati a inizio stagione fino agli scontri con la piazza, ai richiami a staccare biglietti anche quando la squadra, come accaduto giusto un anno fa, arrancava.
Quel filo che s’era strappato drammaticamente nel 2011 s’è riannodato. Il Purgatorio, a Salerno, è finito. Lotito ha vinto. E deve continuare a farlo se l’acre profumo dei fumogeni gli sa davvero di gloria.