La verità è un’altra. Storica, incontrovertibile: la Liga, di per sè, è un campionato di poco conto. Se ci togliete l’eterna disfida Real-Barça, lo spuntare periodico e incostante di terze vie al calcio iberico (oggi è il turno dell’Atletico del Cholo Simeone), c’è pochissima carne al fuoco. E poi metteteci il regolamento che regala posizioni di privilegio a chi segna più degli altri. E ancora metteteci la strana concezione del “rispetto” degli avversari seguendo la quale la Spagna bombardò Tahiti – in Confederation Cup 2013 – ritrovando Maramaldo Torres.
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In fondo in fondo c’hanno anche loro una piccola parte di ragione. Segnare finchè si può, sempre e comunque. Le poesie e gli infingimenti buonisti sono roba da curati di parrocchia, roba da Prandelli per intenderci. Anche passeggiare sugli avversari è roba da partitella post-messa in Oratorio. Solo che però, lì e in tutte le strade del Regno del Calcio, quando le cose si mettevano male e noiose c’era una regoletta semplice semplice: mischiamo le squadre?