Calcio. A Carnevale ogni scherzo vale: l’impresa del Cesena e l’orgoglio ferito del Parma

buffon.saluta.juventus.2013.2014.356x237Il senso vero e profondo del Carnevale sta nel momentaneo ribaltamento delle gerarchie sociali e politiche finalizzate in primo luogo ad una sorta di salutare “sfogo” interclassista e, in secondo luogo, a ricordare a chi detiene il potere tutta la sua umanità, fallace e terricola. Perciò a Carnevale ogni scherzo vale. Perciò, a Carnevale, il piccolo Cesena e lo sconfortato Parma possono (e devono) giocare un tiro mancino all’aristocraticissima Juventus e alla Roma yankee global-pallonara.

ROMAGNA MIA. Alla faccia del serenissimo Claudio Lotito, il Cesena di Mimmo Di Carlo mette alle corde la tronfia Juventus di Max Allegri e del sempre più discontinuo Gigi Buffon. Due a due con il gentile omaggio di un rigore sbagliato dal signor Arturo Vidal, parente alla lontana dell’indio che guidava il centrocampo juventino ai tempi del capocannibale Antonio Conte. Il Cesena, che è provinciale, ha compiuto l’impresa davanti al suo pubblico, al “Manuzzi”. Il Cesena, che è provinciale e che poco dopo la notte dei tempi ha disputato pure la defunta Coppa Uefa, oggi non ha più nulla da perdere e, perciò, può solo puntare a una rimonta furibonda. Come già la Reggina della super-penalizzazione, ad esempio. Un’altra provinciale, che – secondo il ragionamento di Lotito (ipocritamente rinnegato dai vertici pallonari che esattamente come lui la pensano) – non avrebbe fatto bene al calcio italiano. Chissà che ne penserebbe di tutto ciò il conte Alberto Rognoni, uno che ha fatto tanto per il pallone nazionale e lo ha fatto, buona parte, proprio in Romagna. In provincia.

DISCO INFERNO. All’Olimpico, catino infernale per definizione, passione e frequentazione, uno zero a zero che ha un sapore grottesco. Da una parte i giallorossi, vestiti a festa con la maglietta delle grandi occasioni (quella con gli ideogrammi cinesi, per intenderci) e dall’altra la truppa emiliana di Donadoni, ventidue gambe sul prato e undici teste nella stanza del presidente, l’ultimo, che si chiama Manenti. Che sia il canto del cigno emiliano o la complicità drammatica di una squadra che dopo averne buscate sette dal Bayern non riesce più a dominare, ad esprimere la grandeur garciana? Il calcio è bello per questo, perchè troppe domande sono senza risposta alla faccia delle bacchette e dei maestrini che ci provano pure a spiegare al volgo (noi, orgogliosamente) gli schemini e gli automatisti del rettangolo verde. Sul campo, nel valzer carnascialesco di un movimento pedatorio in fase critica, c’erano una formazione che ambisce a diventare una multinazionale e un’altra che è costretta a fare i conti con le percentuali del suo nuovo proprietario. Pago, non pago. E con 96 milioni di debiti. Non vincono sempre i ricchi o gli aspiranti tali. Specialmente nel calcio, specialmente a Carnevale.

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Giovanni Vasso

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