A risvegliarli, questa volta, più che alcuni film di successo incerto, come Zombieland o 28 giorni dopo, è stata Walking Dead, la serie tv ispirata a un fumetto nata nel 2010 e giunta alla quinta stagione, diventata oggi un vero e proprio fenomeno di costume. Quali sono i motivi di questo macabro revival, che spodesta dalle classifiche horror creature pur sempre apprezzate come i nobili vampiri o i mai tramontati fantasmi? Un brillante saggio di un sociologo francese, Maxime Coulombe, intitolato Piccola filosofia dello zombie, (Mimesis, pagg.120, € 12, traduzione di Chiara Passoni) ci fornisce alcune efficaci chiavi di lettura, utili anche a decifrare meglio la nostra società occidentale.
Coulombe osserva che l’immagine dello zombie presenta alcuni aspetti rivelatori, diventando di volta in volta un “doppio” o un “mostro” su cui carichiamo da un lato le nostre angosce e le nostre paure, dall’altro le nostre speranze e la nostra curiosità. Innanzitutto, i morti viventi ci pongono brutalmente davanti all’ultimo tabù rimasto, quello della morte, analizzato a fondo da tanti studiosi francesi come Philippe Ariès o L.V. Thomas: ossessionati come siamo dal culto del corpo e dal mito della bellezza e della giovinezza eterna, i cadaveri semi-decomposti infrangono le regole non scritte del politicamente e fisicamente corretto, ricordandoci crudelmente l’orizzonte mortale del quale facciamo tutti parte. D’altro canto, proprio perché sappiamo che l’apocalisse zombie è una finzione, ci lasciamo piacevolmene sommergere dal piacere negativo suscitato dal repellente e disgustoso, consapevoli di trovarci nella posizione privilegiata di osservatori distaccati e inattaccabili.
*Piccola filosofia dello zombie, di Maxime Coulombe(Mimesis, pagg.120, € 12, traduzione di Chiara Passoni)