Libri. “Piccola filosofia dello zombie” di Coulombe e gli eterni morti viventi

The-Walking-Dead-ComicFumetti, videogiochi, riletture di romanzi classici, serie TV, flash mobs: gli zombie, negli ultimi anni, sono tornati decisamente di moda. Un ritorno alla grande, quasi mezzo secolo dopo l’ondata di film che inizia dalla Notte dei morti viventi (1968) fino al Ritorno dei morti viventi (1985), quando i cadaveri antropofagi ambulanti sembravano finalmente, e definitivamente, sepolti.

A risvegliarli, questa volta, più che alcuni film di successo incerto, come Zombieland o 28 giorni dopo, è stata Walking Dead, la serie tv ispirata a un fumetto nata nel 2010 e giunta alla quinta stagione, diventata oggi un vero e proprio fenomeno di costume. Quali sono i motivi di questo macabro revival, che spodesta dalle classifiche horror creature pur sempre apprezzate come i nobili vampiri o i mai tramontati fantasmi? Un brillante saggio di un sociologo francese, Maxime Coulombe, intitolato Piccola filosofia dello zombie, (Mimesis, pagg.120, € 12, traduzione di Chiara Passoni) ci fornisce alcune efficaci chiavi di lettura, utili anche a decifrare meglio la nostra società occidentale.

Caricatura dell’uomo vivente, lo zombie contemporaneo è un non-morto, generalmente risvegliato da un virus o da una catastrofe ambientale, e si muove in un mondo post-apocalittico, di cui è signore assoluto e inconsapevole, mosso esclusivamente dall’istinto di cibarsi di carne umana. Non ha sentimenti, non ragiona, non ha paura, non soffre e si muove caracollando goffamente, cosa che lo rende facile bersaglio dei pochi sopravvissuti, che possono restituirlo al regno dei morti fracassandogli il cranio, sede dell’ultimo barlume di pseudo-vita rimasto.

Coulombe osserva che l’immagine dello zombie presenta alcuni aspetti rivelatori, diventando di volta in volta un “doppio” o un “mostro” su cui carichiamo da un lato le nostre angosce e le nostre paure, dall’altro le nostre speranze e la nostra curiosità. Innanzitutto, i morti viventi ci pongono brutalmente davanti all’ultimo tabù rimasto, quello della morte, analizzato a fondo da tanti studiosi francesi come Philippe Ariès o L.V. Thomas: ossessionati come siamo dal culto del corpo e dal mito della bellezza e della giovinezza eterna, i cadaveri semi-decomposti infrangono le regole non scritte del politicamente e fisicamente corretto, ricordandoci crudelmente l’orizzonte mortale del quale facciamo tutti parte. D’altro canto, proprio perché sappiamo che l’apocalisse zombie è una finzione, ci lasciamo piacevolmene sommergere dal piacere negativo suscitato dal repellente e disgustoso, consapevoli di trovarci nella posizione privilegiata di osservatori distaccati e inattaccabili.

Gli zombie di celluloide, insomma, ci intrattengono e ci rassicurano, ma, forse, suscitano anche qualche vago segnale di allarme, segnalando che ci stiamo dirigendo verso una meta irraggiungibile, e che il benessere fittizio che crediamo di aver conquistato potrebbe svanire improvvisamente, lasciandoci in mezzo a un mucchio di macerie popolate di mostri. In tal caso, come dimostra bene la serie Walking Dead, non saranno né i soldi né il potere a proteggerci, ma solo le nostre virtù e la capacità di essere uomini, in piedi tra le rovine.

*Piccola filosofia dello zombie, di Maxime Coulombe(Mimesis, pagg.120, € 12, traduzione di Chiara Passoni)

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Luca Gallesi

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