Architrave. I filosofi Croce e Gentile: l’epistolario dei due “cari nemici”

giovannigentileGiovanni Gentile nel 1896 aveva 21 anni, era laureando alla Normale di Pisa, e inviò un saggio sulle commedie di Antonfrancesco Grazzini detto “il Lasca” a Benedetto Croce, chiedendo un giudizio. Il filosofo di Pescasseroli, allora trentenne ma già noto negli ambienti della filosofia italiana, fu cortese. Rispose con una breve lettera nella quale sottolineava a Gentile che “la sua erudizione è sobria e calzante. Ella rifugge dalle generalità e le conclusioni cui giunge mi paiono esattissime” mettendo in rilievo che quel primo lavoro il giovane corrispondente non mostrava “tracce di inesperienza”.

E’ la prima lettera riportata nel carteggio fra i due filosofi che l’editore Aragno ha cominciato a pubblicare sotto l’egida dell’Istituto italiano per gli studi storici (Benedetto Croce – Giovanni Gentile, Carteggio 1896-1900, Aragno editore, pagg. 499, euto 30,00). Il piano dell’opera prevede cinque volumi e la curatela è di Cinzia Cassani e Cecilia Castellani, con uno studio introduttivo di Gennaro Sasso. Il primo volume, appena uscito, copre un arco di tempo di quattro anni: dal 1896 al 1900. In quegli anni si formò fra i due un’amicizia e una stretta comunanza di interessi che passarono in pochi mesi, dallo “stimatissimo signore” al “carissimo amico”. Un rapporto che durò ventotto anni.

In questo primo volume emerge il serrato confronto sulla filosofia della storia e sulla filosofia teoretica, per la quale Gentile era molto versato. Mentre Croce aveva interessi culturali più ampi: “da letterato mi vado avviando a diventare filosofo” afferma in una lettera a Gentile al quale non manca di chiedere consigli sul terreno della filosofia teoretica (“Aiutatemi un po’ perché temo di sbagliare”).

Dalle lettere si nota come anche lo sfondo nel quale vivevano i due intellettuali era molto diverso anche per condizione sociale: umili condizioni con poche possibilità economiche quelle di Gentile, per il quale un viaggio o anche l’acquisto di un libro erano un lusso. Di contro Croce che viaggiava, acquistava libri, aveva contatti epistolari in Italia e all’estero con i maggiori nomi dell’intellighentzia. Quando il rapporto divenne più intimo, Gentile chiese libri in prestito a Croce, e fu felice per aver vinto la cattedra in un liceo di Campobasso.

Nel gennaio del 1897 Gentile inviò una lettera lunga a Croce con la quale affrontava un tema considerato cruciale nella filosofia marxista: se il materialismo storico di Marx ed Engels era una filosofia della storia e se potesse costituire il fondamento scientifico del socialismo. Per Gentile non poteva trattarsi di una filosofia della storia (in questo Croce era d’accordo) negando anche al socialismo scientificità (qui il giudizio di Croce era meno netto in quanto riconosceva al metodo un certo rigore che in altre dottrine mancava).

A parte la discussione sul materialismo storico, nella corrispondenza emergono i differenti punti di vista che via via vengono discussi, dibattuti, definiti, ma l’ampiezza dei temi trattati, dalla pedagogia all’estetica, dalla teoretica alla storia della filosofia, alla storia, mostrano come l’idealismo italiano si sviluppa e si chiarisce sempre meglio nelle differenti posizioni crociana e gentiliana, come spiega nell’introduzione Gennaro Sasso che dimostra che non ci fu sulla scena culturale italiana una prevalenza della scuola idealistica essendoci altre scuole di solida tradizione come quella cattolica. Forse frab i due il dialogo era troppo legato agli aspetti culturali visto che delle vicende politiche di quegli anni, di grande importanza, non c’è traccia nelle lettere.

Un carteggio di grande interesse se si pensa che finora le lettere di Gentile a Croce e quelle di Croce a Gentile nelll’arco di tempo fra il 1896-1924 erano state pubblicate separatamente e in tempi diversi mentre ora, per la prima volta, vengono pubblicate insieme, “intrecciate”, in ordine temporale. Una pubblicazione integrale interessante.

Dopo 28 anni, come detto, la rottura. Ma questo sarà oggetto dell’ultimo volume. Le loro strade poi si divisero: Croce patriarca dell’antifascismo e del liberalismo mentre Gentile divenne il filosofo del fascismo e dello Stato etico che pagò con la vita il suo impegno e la sua militanza.

Infatti, il 15 aprile di settant’anni fa, Giovanni Gentile fu assassinato in un agguato dai Gap (Gruppi d’azione patriottica), formazione comunista della Resistenza. Omicidio molto discusso, disapprovato dallo stesso Comitato di liberazione nazionale della Toscana (a favore si dichiarò solo il Pci). Il movente, secondo alcuni, il Discorso agli italiani, un invito alla pacificazione fra italiani che i comunisti temevano potesse spaccare il fronte della Resistenza. Secondo altri, era semplicemente un ordine giunto dagli inglesi.

Ministro della Cultura nella Repubblica sociale italiana, Gentile dette impulso all’idealismo nel dibattito culturale della prima metà del Novecento. Marcello Veneziani, giornalista, scrittore e studioso di filosofia, ha pubblicato un volume antologico del pensiero di Gentile sull’idea di nazione e di Italia (Veneziani, Pensare l’Italia, Le Lettere ed., pagg. 275, euro 22,00). Un volume di gfrande importanza non solo per capire la concezione dell’Italia da parte del filosofo ma anche per comptrnedere le sfaccettature di questo Paese. Non solo: come spiega Veneziani, nell’ampio saggio introduttivo, in quest’antologia “c’è il senso della filosofia civile gentiliana”.

Infatti Gentile ebbe come pensiero costante l’Italia, fin da prima dell’avvento del fascismo. Lo fece, ricorda Veneziani, nel solco di Vico, richiamandosi a una teologia civile, facendo riferimento all’amor patrio, alla nazione, allo spiritualismo politico. Per Gentile i precursori del pensiero unitario furono tanti: da Dante Alighieri al Risorgimento, interpretato come episodio della resurrezione dell’Italia. Il filosofo e accademico d’Italia, nonché autore della riforma della scuola, ritenne, pur apprezzando molto l’opera di Gioberti e di Mazzini, che fu Dante il precursore del pensiero italiano e anche dello Stato unitario. L’”attuazione dell’Italia”, il “fare gli italiani”, per Gentile, insomma, era una missione fondata sulla religione della patria e sul primato civile e morale oltre che culturale.

Per compiere questa operazione, il filosofo siciliano richiamò l’opera e l’azione di artisti, eroi, poeti, filosofi, per realizzare, come sottolinea Veneziani, “il pensiero vivente – come già lo chiamava Mazzini – nell’incessante divenire”. Percorso coerente con l’Attualismo gentiliano che prevede di ravvivare il passato e tradurlo in atto nella modernità. Il suo costante riferimento si estendeva anche al Risorgimento interpretato come categoria etica, ma anche all’idealismo, alla centralità della formazione e della scuola, allo sviluppo di una coscienza nazionale senza tralasciare il rapporto con il fascismo e l’umanesimo del lavoro, lo Stato etico e la Tradizione.

Un pensiero filosofico che divenne prassi quando Gentile ricoprì l’incarico di ministro della Pubblica Istruzione (per la prima volta nel 1922), incidendo in profondità nelle istituzioni universitarie, nella scuola. Un impegno ben più profondo di quello espresso nelle saltuarie esperienze nei ministeri da Croce, De Sanctis, Bonghi.

Gli scritti del filosofo, come è possibile vedere nell’antologia curata da Marcello Veneziani, sono pervasi da un senso di ottimismo, di forza e di fiducia nella vita, nella storia, nella cultura, una visione che si basa sul pensiero che si fa prassi.

Al unto che Gentile interpretava l’Italia a 360 gradi, volendo definire una visione e una concezione totali dello Stato, aspetto che mancava alla nazione italiana, mentre le altre potenze europee ne avevano fin troppo. Oltre che filosofo ufficiale del fascismo e teorico dello Stato etico, Giovanni Gentile ebbe un ruolo di primo piano anche per le sue capacità di “organizzatore di cultura”. Sosteneva che l’intellettuale non deve vivere nella sua turris eburnea ma soprattutto deve scendere in strada, deve misurarsi e incidere nella realtà contemporanea. E una delle maggiori iniziative di Gentile, come “organizzatore di cultura” fu proprio la realizzazione dell’Enciclopedia italiana. Adesso, grazie all’apporto di studiosi che hanno riordinato e inventariato archivi pubblici fra cui quelli dell’Enciclopedia italiana, è possibile conoscere nel dettaglio la genesi dell’Enciclopedia, i criteri di scelta dei collaboratori e delle tematiche. Alessandra Cavaterra, archivista e storica ha dato un contributo di primo piano in tal senso (Cavaterra, La rivoluzione culturale di Giovanni Gentile, Cantagalli ed., pagg. 223, euro 15,00). E’ di particolare interesse verificare, attraverso questa minuziosa e puntuale ricostruzione, come il filosofo di Castelvetrano abbia messo insieme, in maniera organica, intellettuali e docenti di differenti orientamenti, di fedi diverse, per raggiungere uno scopo di notevole valore: quello di un’opera che comprendesse tutto lo scibile attraverso una lettura “culturalmente italiana”. Un lavoro di grande importanza, non archivistico in senso stretto, perché contribuisce a fare chiarezza sulla composizione della redazione, sulla scelta di docenti e scrittori e collaboratori. Su questa operazione culturale, la vulgata antifascista h sostenuto che la nascita dell’Enciclopedia fosse parallela alla svolta autoritaria di Mussolini. Ma Cavaterra smentisce questo assunto mostrando come alla redazione dei volumi dell’Enciclopedia avessero concorso antifascisti, israeliti, docenti distanti distanti dal regime. Tutti collaboratori accettati e difesi da Gentile. L’autonomia in questa operazione culturale, quindi, fu totale. Lo scopo dell’opera era di offrire una lettura dello scibile scientifico e umanistico che fosse il risultato dell’intelligenza italiana, degli insegnanti, degli intellettuali, degli scienziati e degli artisti di una nazione, l’Italia, che quanto a cultura e opere d’arte ha dato più di qualunque altro paese al mondo.

Anche il dato cronologico smentisce l’ipotesi secondo la quale l’Enciclopedia era un’operazione di supporto al fascismo. Il 3 gennaio del 1925 Mussolini tenne alla Camera il discorso che annunciava la svolta autoritaria. Il 18 febbraio successivo nacque l’Enciclopedia. Non poteva bastare un mese e mezzo per definire un’opera di così vasta portata, in poche settimane, coinvolgendo centinaia di scienziati…

Non a caso Gentile tenne a sottolineare che questa opera sarebbe stata “al di sopra dei partiti” e ai collaboratori era richiesto di “parlare con assoluto rispetto dell’altrui pensiero e coscienza” in modo tale da far collaborare “uomini di ogni fede e di ogni dottrina che abbia un suo valore”. Il libro di Cavaterra del resto dedica spazio proprio alle differenze fra i vari collaboratori. Anche questi aspetti contribuirono ad alimentare il dibattito di carattere storiografico sul “Gentile liberale” contrapposto al “Gentile totalitario”. Dibattito senza gran significato visto che fin dall’inizio del fascismo Gentile si definì liberale ma richiamandosi al liberalismo italiano non a quello francese o britannico, quindi con una particolare attenzione alla centralità dello Stato e con un richiamo a Cavour e alla Destra storica. E per Gentile il fascismo ricopriva il ruolo di collante di una nazione che doveva proseguire un tragitto cominciato con il Risorgimento e non ancora concluso.

Giusepope Parlato, nell’eccellente saggio introduttivo, spiega che chiamare a collaborare anche gli antifascisti aveva lo scopo di includere tutti gli scienziati italiani a una grande opera italiana, che dà conto della cultura nazionale. Per Gentile il fascismo doveva essere “inclusivo”, definirsi non secondo un “anti” qualcosa ma a favore di un progetto.

Insomma, una vera rivoluzione nel settore culturale, che lasciò eredità rilevanti, come spiega bene Parlato, a famiglie politiche anche lontane dal fascismo, oltre a modificare la figura dell’intellettuale mettendo insieme scienziati di diverse provenienze. Insomma, al di là dei contrasti politici, e della nascita recente di uno Stato nuovo, si affermava ancora una volta l’immagine, che esisteva da secoli, di una nazione prima di tutto culturale.

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Manlio Triggiani

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