Libri. “Il figlio di due madri” di Bontempelli e il realismo magico italiano

Dato alle stampe nel 1929 dalla casa editrice Sapientia nella collana Edizioni “900”, Il figlio di due madri di Massimo Bontempelli è stato ripescato dagli archivi dalla maceratese Liberilibri. Un racconto lungo alquanto innovativo e certamente atipico rispetto alla produzione letteraria dell’epoca, dominata in larga parte dalla prosa d’arte di stampo rondesco; cui Bontempelli ebbe, altresì, a contribuire – introducendovi alcune innovazioni – con due pregevoli volumetti riediti ultimamente: La vita intensa (Isbn, pp. 215, euro 11) e La vita operosa (Unicopli, pp. 197, euro 15).

Bontempelli e Pirandello
Massimo Bontempelli e Luigi Pirandello

Un testo che a pieno titolo si colloca nel filone del cosiddetto “realismo magico”, elaborato in letteratura da Bontempelli, per cui “il mondo immaginario deve versarsi in perpetuo a fecondare e arricchire il mondo reale. Lo scopo – afferma Bontempelli nel saggio L’avventura novecentista – è realizzare un mondo reale esterno all’uomo, imparando quindi a dominarlo, fino a poterne sconvolgere a piacere le leggi. Il dominio dell’uomo sulla natura – dirà – è rappresentato oggi dalla magia“.
In effetti è quel che Bontempelli realizza, pur con alcune lacune, ne Il figlio di due madri.
Nell’opera si narra la storia di un bambino di nome Mario morto reincarnatosi come figlio di un’altra madre e quindi conteso fra le due donne (Arianna e Luciana). Mario è figlio di un borghese romano, Mariano Parigi, e della signora Arianna. Durante una passeggiata, in occasione del suo settimo compleanno, si addormenta in un parco, e al risveglio non mostra di riconoscere né l’istitutrice né sua madre. Anzi: non solo non riconosce in Arianna sua madre, ma le chiede di accompagnarlo subito a casa sua, dove senza dubbio lo sta aspettando la “mamma”.

Dopo l’esperienza della rivista “900”, diretta con Malaparte, Bontempelli lavora alla realizzazione di romanzi in cui il realismo quotidiano e borghese è avvolto in un’atmosfera magica, in un alone di mistero, con l’obiettivo di fornire delle “favole” rivolte al grande pubblico. Rispetto alle prime opere, per certi versi, più innovative, il romanzo in questione presenterebbe – stando alla critica odierna – una struttura forzata, giacché si intravedrebbe il meccanismo adottato dall’autore consistente nell’introdurre nella quotidianità o, meglio, nella prosaicità dell’esistenza comune, un elemento atipico, estraneo, estraneo in quanto diverso, irreale. Magico.

L’autore rivelerebbe così lo sforzo della “costruzione” – noterà schiettamente il critico marxista Romano Luperini -, il meccanismo estrinseco dell’invenzione narrativa. Ma il Luperini non prende in considerazione la discreta componente affabulatoria e, soprattutto, nega all’opera una lettura in chiave più approfondita, rendendo evidenti i limiti della propria formazione culturale. Di certo il romanzo di Bontempelli non risponde al paradigma lukacsiano del “particolare”; per cui la forma più alta di arte è il realismo – qui, si tratta di realismo magico –, che consiste nella rappresentazione di personaggi “tipici” in circostanze “tipiche”. Luckács ebbe molta influenza sulla letteratura europea e italiana (e gran parte della critica letteraria odierna si è formata su i suoi testi), per cui gli scrittori, prima di mettersi all’opera, avrebbero dovuto considerare il presupposto secondo cui un romanzo è un vero romanzo a patto che risponda a determinati criteri, altrimenti non costituisce alcuno interesse.

L’opera di Massimo Bontempelli è di contro un inno romantico all’immaginazione; tutt’altro rispetto al marxismo lukacsiano, che, del resto, in Italia, prenderà piede solo un paio di decenni più tardi. La ragione della sua specialità risiede anzitutto nell’ambientazione. Il figlio di due madri è ambientato nella capitale del mondo, nell’Urbe: Roma. Città per eccellenza della religiosità cristiano-cattolica, essa è luogo, tuttavia, di un fenomeno di trasmigrazione d’anima. Un fenomeno fortemente contrastante con i principi dottrinari della religione cattolica per cui di là dell’esistenza terrena vi sarebbe tutto un iter che conduce infine alla resurrezione generale.
Quella sulla trasmigrazione dell’anima, è una di quelle teorie che proprio nella prima metà del Novecento avevano trovato un humus favorevole nel Vecchio continente e quindi anche in Italia; basti pensare ai diversi gruppi esoterici sorti in quegli anni come il nostrano Gruppo di Ur.
Si era, infatti, verificata un’apertura a teorie – se così si possono definire – “astratte”, che era segnale di una tendenza a soffermarsi sulla esistenza umana in quanto tale e sul suo mistero; in netta opposizione a quella lettura del reale analitica adottata nella trascorsa stagione positivistica: in cui lo scrittore, indossati i panni dello scienziato, indagava deterministicamente la realtà cercando di coglierne i nessi di causa-effetto, con l’intento di rappresentare di un’umanità disumana le pietose condizioni.

In ultima analisi – non per questo meno rilevante – non va tralasciata la componente idealistico-romantica che permea l’opera e che si manifesta in un recupero del mito. In tal senso appare significativo il contrasto tra realtà e mito: il mondo reale è rappresentato dalla famiglia Parigi, da Arianna. La famiglia Parigi fa di tutto, tutto ciò che è umanamente possibile, per “recuperare” il proprio bambino. La componente mitica risiede nei rituali di Luciana, madre originaria, madre di Ramiro non di Mario. Il mito è nei suoi rituali, nella gestualità, nel linguaggio, nella roccia del Circeo che ella visita ogni anno, nel suo affidarsi alle stelle, nel vedere nelle stelle non meri agglomerati di materia ma personalità, anime, nel suo essere un personaggio “monologico”; Luciana vive all’interno dei confini evanescenti di una sorta di sopramondo, in cui è ammesso il ritorno in vita di un bambino ormai morto da sette anni. Ella vive all’interno di un vero e proprio mito. Una tensione drammatica si accresce di pagina in pagina e si scioglierà solo alzando lo sguardo all’infinità del cielo, “alle costellazioni che una dopo l’altra scendevano l’arco e andavano quietamente a posare nei neri letti dell’orizzonte”.

*Il figlio di due madri, di Massimo Bontempelli, (pp. 185, euro 15, Liberilibri)

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Giuseppe Balducci

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