Libri. “Confini e conflitti” di Valle, una lettura per uomini liberi

confini-e-conflittiIn una società che non conosce e non studia neppure più la geografia nazionale, parlare di confini e conflitti, quindi di geopolitica, può sembrare terribilmente demodé. Per non dire velleitario. Eppure, un po’ come accade nel famoso proverbio della montagna e di Maometto, se anche noi non andiamo alla geopolitica, in un modo o nell’altro la geopolitica verrà a noi. Anzi, contro di noi.

A maggior ragione se abbiamo la sfortuna di vivere in un Paese dove la classe politica si balocca da decenni con risse di palazzo, gazzarre cadreghinistiche e micro-riforme di ingegneria elettorale (incomprensibili ai più); ma poi ignora e si rifiuta di studiare il mondo che la circonda. Con risultati facilmente prevedibili. Del resto per compiere egregiamente il ruolo di lacché che i politici italiani si sono scelti negli ultimi decenni – cioè risponder sempre di sì alla politica estera di Washington e a quella economica di Berlino – studiare non è necessario. Anzi potrebbe essere di impedimento.

Per tutti gli altri, invece, la lettura di Confini & conflitti di Marco Valle, pubblicato da Eclettica Edizioni di Massa (una casa editrice, quella di Alessandro Amorese, da tener d’occhio), può risultare molto interessante, oltreché avvincente. È un volume di difficile decifrazione: non è un saggio, non è una raccolta di memorie di viaggio, non è una narrazione di aneddoti storici e non è neppure un collage di analisi geopolitiche. Forse è tutto ciò al tempo stesso.

Valle – triestino trapiantato a Milano, alle spalle una famiglia dalle radici istriane e fiamminghe e un nonno arruolato nella marina imperiale austro-ungarica – guarda alle vicende del secolo passato con gli occhi disincantati del viaggiatore, ma a muovere le mani sulla tastiera è il cuore di un romantico che ama l’avventura e non ha ancora rinunciato ai propri sogni. Sia che scriva del crollo del Muro di Berlino, di Ottavio Missoni oppure di Vittorio Bottego, o ancora dei parà francesi in Algeria e Indocina, è chiaro che Marco Valle partecipa in prima persona alla storia che si dipana nelle sue pagine. E alterna analisi e riflessioni di portata internazionale a gustosi aneddoti personali, come il ricordo di un allucinante viaggio di lavoro nell’Albania ultracomunista e schizofrenica di Enver Hoxha; oppure il racconto del nonno imbarcato sulla corazzata austro-ungarica affondata nel 1918 dai Mas dell’eroe di guerra Luigi Rizzo. Nonno sopravvissuto al naufragio, che avrà poi occasione di conoscere e apprezzare il valore dell’uomo che aveva mandato a picco la sua nave.

Il libro di Marco Valle è composto da cinque macro-capitoli, suddivisi poi in vari sottocapitoli. I temi principali sono «L’indipendenza debole», dedicato al travagliato e fragile processo di unità nazionale, con esplicito riferimento alle permanenti ingerenze britanniche sulla nostra politica interna ma soprattutto internazionale; «Gli italiani forti» (da Giuseppe Verdi agli esploratori in Africa, fino ai personaggi semi sconosciuti della Seconda guerra mondiale); «C’era una volta la Cortina di ferro» (dal Muro alle foibe, dai gulag titini alla tragedia dell’Istria); «Translatio imperii» (il declino dell’impero britannico, il crollo del colonialismo francese, l’Indocina e l’Algeria) e infine «Cuori avventurosi», il capitolo in cui l’autore può dare libero sfogo al proprio pantheon di personaggi più amati e ammirati, dal già citato Rizzo a Enrico Mattei, dal “mercenario” Jean Schramme al regista controcorrente Pierre Schoendoeffer all’esule dalmata Ottavio Missoni.

Fino al ricordo personale, commosso e fraterno, di Almerigo Grilz, il giornalista triestino caduto in Mozambico mentre cercava di documentare una delle tante guerre dimenticate.

Non a caso – e qui il cerchio si apre e si chiude – la prefazione al volume di Valle è stata scritta da Gian Micalessin, inviato di guerra del Giornale, che di Grilz fu non soltanto collega, ma anche amico fraterno. Afferma Micalessin: «Per chi come Marco Valle, ed il sottoscritto, è nato a Trieste qualche decennio, fa il confine, i Confini, non sono soltanto una demarcazione geografica. Sono una condizione esistenziale. Un margine fisico diventato suggestione mentale e spirituale. Un limite trasformato in voglia di superarlo e superarsi».

Giorgio Ballario

Giorgio Ballario su Barbadillo.it

Exit mobile version