Cultura. Tra crisi del post-moderno, nichilismo e i sorrisi dei ragazzi di Genova

I volontari dell'associazione La Salamandra a Genova dopo l'alluvione
I volontari dell’associazione La Salamandra a Genova dopo l’alluvione

Dicono che siamo diventati tanto realisti. Dicono che la crisi  ci stia cambiando dentro. Raccontano di un noi senza progetti. Senza fiducia. Così gli scrittori stanno scrivendo pagine di realismo in cui il quotidiano è privo di positività. Per conferma si legga la vita smarrita e cruda nei libri di Walter Siti. Poi l’attenzione vada sul recente saggio di Romano Luperini, “Tramonto e resistenza della critica” (2014, Quodlibet).  Per Luperini la letteratura, come la società, ha perso l’esperienza del linguaggio, ha perso la leggerezza e gli scrittori inseguono solo il vero. I personaggi dei romanzi quindi sono vedovi, padri incapaci, sconvolti dagli imprevisti; e si acquisti l’ultimo di Sandro Veronesi, “Terre rare” (Bompiani, 2014), si scoprirà una  realtà contemporanea nuda, una quotidianità ordinaria ma, nello stesso momento, sconvolgente.

Allora ha ragione Luperini, “…il tempo della leggerezza, del nichilismo ilare non ha più senso”. In poche parole, siamo malinconici. Pesanti e disillusi. Degli anti-eroi a causa dei soprusi sofferti. E l’arte, che ci racconta, è fatta di realismo nevrotico. Come nell’ultima prova di Francesco Pecoraro, “La vita in tempo di pace” (Ponte alle Grazie, 2014). Ecco avanza una sensibilità modellata sulle mappe della crisi ed ecco il punto d’arrivo: perdono colpi i giochi del futuro, le leggerezze, “l’uomo liberato”(Jencks,1989), in breve il post-moderno si è esaurito. Siamo tristi. Incazzati. Parecchio concreti. Tanto attenti al civile, ai grigi problemi di ogni giorno, ai servizi pubblici di quartiere,..

Viviamo come personaggi balzacchiani. Figurine tutta realtà. Niente altro che realtà. Non ragioniamo di ‘massimi sistemi’ di Destra o di Sinistra. Vogliamo il reality sempre e comunque. Così gli scrittori “sono tornati a guardare alla società”(cfr. Romano Luperini). E noi lettori guardiamo dentro case senza stipendi, dentro le fiction firmate da Roberto Saviano, dentro le banali manie a cui non vogliamo rinunciare, perché “Se rinunci all’ossessione, tutto in un colpo morirai.” (W.Siti, “Exit strategy”, Rizzoli, 2014)

Le voglie di fare, le sperimentazioni, i gusti della libertà post-moderna, dove sono finiti? Solo realismo. Solo ‘Gomorra’. Insomma, bye bye post-moderno! Per altro lo ripete anche Andrè Glucksmann, “In nome del realismo, la Destra e la Sinistra rigettano diritti, libertà di movimento inclusa” (Corriere della Sera, Ottobre 2014). Per il filosofo francese, questo realismo è cattivo o meglio è un specie di “egoismo di corto respiro”. Dunque, ossessionati da un realtà minacciosa, non riusciamo ad essere illuminati, sognanti, cosmopoliti, volteriani.

Ma, infondo, vorremmo essere volteriani! Ottimistici e sorridenti come l’innocente Candide. Però, come si fa ad essere fiduciosi cittadini del mondo mentre alle porte delle nazioni bussano migrazioni incontrollate e rischi di epidemie? Glucksmann, con il suo illuminismo di maniera, non convince. Se questo è il tempo della realtà – una realtà senza padri e senza ideali – tuttavia, nelle scuole, nelle aziende, nelle famiglie, non possiamo abbandonare i progetti. Si deve ripartire per il futuro. E lo si può fare guardando gli esempi dei ragazzi del fango di Genova. I ragazzi volenterosi. I quali hanno dato al paese una “Lezione di futuro” (cfr. Matteo Lancini, Corriere della Sera, ottobre 2014), una lezione di forze spontanee, di sogni giovanili donati agli altri, per un futuro italiano, non per un presente fiacco e sfiduciato.

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Renato de Robertis

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