L’intervista. Il professor Cellamare racconta gli Ussari alati: “Salvatori di Vienna”

UssariDocente presso la Sapienza di Roma e il Centro Alti Studi della Difesa, Daniele Cellamare è anche l’autore de “Gli Ussari alati” (Fazi Editore, 2014), romanzo storico che ci riporta all’ 11 settembre del 1683 quando il re di Polonia Giovanni Sobieski, alla testa dei suoi Ussari alati, salvò Vienna e la cristianità dalla guerra santa dell’Impero ottomano. Nel corso della nostra intervista, il professore ci ha condotto nel mondo della cavalleria europea, dell’età moderna a quella contemporanea, dalla carica di Sobieski all’ultima, disperata carica degli Ulani di Cracovia contro i panzer tedeschi nel 1939, cavalieri eredi di una tradizione antica del tuto annientata a Kathyn nel 1941.

Professore, chi erano gli ussari alati?

Un reparto di cavalleria composto esclusivamente da giovani appartenenti alla nobiltà polacca. La particolarità che ha sempre contraddistinto questa unità nella storia militare è data dalla straordinaria serie di successi ottenuti in numerose battaglie, nonostante la superiorità numerica del nemico. Ma il vero fascino del reparto deriva dall’uso dei cavalieri di apporre sulle spalle enormi ali di penne d’aquila, ma anche di cigno o di oca. Purtroppo l’origine di queste ali non è stata mai determinata con precisione ma si ritiene che servissero ad intimidire l’avversario. In effetti, il sibilo che producevano durante la carica, così come le lunghe lance ricoperte d’oro, i pennoni colorati e le pelli di leopardo o di tigre indossati sulle spalle, dovevano sicuramente terrorizzare il nemico. Inoltre, tutto l’insieme evocava un’immagine terrificante, come l’apparizione improvvisa di angeli vendicatori, facendoli apparire più grandi del normale e particolarmente maestosi. Liberi di scegliere la loro uniforme, i cavalieri polacchi prediligevano l’uso del colore rosso, in memoria del sangue versato da Gesù, e poiché erano votati alla causa di Maria caricavano con l’urlo di battaglia Gesummaria! Tutti questi elementi hanno contribuito a tramandare la formazione degli Ussari Alati come l’unità di cavalleria più temibile e più affascinante di ogni epoca.

Quale è stato il loro ruolo nelle guerre del XVI e XVII secolo?

Agli Ussari polacchi spettava il compito di sviluppare un potente attacco per disarticolare le unità nemiche. In genere, si trattava di compatte formazioni di fanteria, o meglio di veri e propri quadrati serrati, irti di picche e protetti dal fuoco dei moschetti, se non quando da quello dei cannoni. Nonostante gli Ussari non disprezzassero assolutamente le armi da fuoco, la loro tattica privilegiata era ancora una carica a lance spiegate, condotta con un impeto irresistibile: i cavalieri lanciavano i loro cavalli al galoppo con l’obiettivo di distruggere tutto quello che si trovavano davanti. L’arma principale contro la picca era una lancia speciale, nuova nella sua concezione, molto lunga, ed impiegata secondo una tecnica più moderna. Grazie a questa lancia potevano attaccare i picchieri prima che le picche di questi ultimi raggiungessero i loro cavalli. Inoltre, anche se spezzata, la lancia raggiungeva comunque una lunghezza di un paio di metri, ovvero ancora in grado di provocare gravi ferite. Gli Ussari avanzavano sempre in formazione serrata, permettendo al reparto di non trovarsi mai in inferiorità numerica rispetto ai picchieri, e con l’impatto violento della carica riuscivano a penetrare la formazione nemica provocandone la perdita di coesione. 

Quando nasce e quando tramonta il corpo degli ussari?

Fondati nel 1574 dal sovrano polacco-lituano Stephen Bathory, il grande riformatore dell’armata confederata, gli Ussari Alati vennero sciolti per volontà del parlamento della confederazione nel 1775. Oltre alla lancia, il reparto era dotato di altre armi secondarie, come il martello da guerra, la sciabola e una o due pistole a ruota sistemate in apposite fondine sulla sella. Per circa due secoli, la cavalleria degli Ussari polacchi è stata considerata come la migliore cavalleria al mondo, sia per l’addestramento dei cavalieri che per le innovazioni tattiche, ma anche per l’impiego brillante dell’unità in combattimento. I risultati conseguiti sono stati sbalorditivi, come testimoniato dalle vittorie conseguite nelle numerose battaglie sostenute. Tra le più importanti, la battaglia di Kluszyn con la conquista di Mosca nel 1610, quella di Trzciana con la distruzione delle forze di Gustavo Adolfo nel 1629 e la liberazione di Vienna nel 1683. Durante il secolo successivo, con la fine delle picche di fanteria e le nuove dottrine militari, il declino di questa unità fu inevitabile. Il posto degli Ussari polacchi venne preso da una nuova formazione di cavalleria equipaggiata con lance più corte, gli Ulani.

Ussari e ulani: quali le differenze?

L’uso della lancia in Europa, molto difficile da manovrare e con l’impegno di un intenso addestramento, rimase a lungo una prerogativa della cavalleria polacca anche con l’introduzione degli Ulani. Oltre alla lancia, l’equipaggiamento degli Ulani prevedeva inizialmente una scimitarra per il combattimento corpo a corpo, in omaggio all’origine tartara del reparto. Come gli Ussari, questi cavalieri armati alla leggera divennero una specialità di cavalleria degli eserciti dell’Europa centrale e orientale, in particolare in Polonia, in Germania e in Russia. Più in generale, gli Ulani avevano il compito di sferrare il colpo finale dopo la carica della cavalleria pesante, anche con l’inseguimento individuale del nemico. In Prussia, gli Ulani erano considerati una specialità di cavalleria leggera con compiti di ricognizione, avanguardia e incursioni in profondità. Nella Grande Guerra, gli Ulani furono l’avanguardia dell’avanzata tedesca, sempre con compiti di esplorazione e di sicurezza dei reparti, ma si guadagnarono una fama sinistra presso la popolazione rurale belga. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, nel settembre del 1939 gli Ulani polacchi si sacrificarono nelle cariche contro i carri armati tedeschi.

È vero che furono gli Ussari Alati di Sobieski a rompere l’ assedio turco a Vienna?

Sicuramente il loro ingresso in battaglia è stato un elemento significativo, e per certi aspetti risolutivo. Oltre l’eroismo dimostrato dai difensori di Vienna, guidati da Ernst von Starhemberg, il colonnello Dupigny tentò una sortita con l’unico reparto di cavalleria e trenta dei suoi corazzieri rimasero uccisi insieme al loro comandante. Carlo di Lorena e Giovanni Sobieski, con un esercito di poco più di 70.000 uomini, attaccarono lo schieramento di Kara Mustafà composto indicativamente da 200.000 soldati. Gli imperiali riuscirono in un primo tempo a disperdere le truppe nemiche e prima ancora che avessero il tempo di riorganizzarsi, la carica degli Ussari Alati risolse la battaglia. I cavalieri alati puntarono direttamente sull’accampamento turco e la sua conquista fece crollare qualunque velleità di resistenza. All’esercito del gran visir non rimase che un’unica via di scampo, quella di una fuga precipitosa.

Come riuscirono poche migliaia di cavalieri a scombinare i piani di Karà Mustafà?

Kara Mustafà commise indubbiamente una serie di errori. Primo tra tutti, si presentò sotto le mura di Vienna sprovvisto di un adeguato supporto di artiglieria pesante. Nel primo periodo dell’assedio riuscì comunque ad ottenere buoni risultati, visto che le sue trincee avevano raggiunto le mura di difesa, ma non sospese subito queste operazioni quando venne attaccato dagli imperiali. I suoi reparti migliori erano infatti impegnati in sanguinosi combattimenti sulle mura della città. Nel frattempo, Carlo di Lorena, al comando dei suoi reparti di cavalleria, era riuscito ad occupare posizioni strategicamente favorevoli rispetto al grosso dell’esercito turco e il gran visir si vide quindi costretto a combattere su due fronti. Commise anche l’ingenuità di affidare alle reclute la difesa del lato più debole dello schieramento. Inoltre, non è da escludere del tutto che la forte superiorità numerica delle sue truppe lo avesse indotto a ritenere la città di Vienna una facile conquista, riducendo sensibilmente le sue capacità di controllo e di comando.

Martin Brody

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