Marò. Il generale Lenzi sul rientro di Latorre: “Fucilieri senza certezze da mille giorni”

latorre

 Ciò che appare evidente sia mancato, in quell’occasione, è stato proprio un chiaro ed inequivoco ‘protocollo’ che regolasse – nel dettaglio- compiti e responsabilità di tutti i soggetti in gioco: militari a bordo, armatore, comandante della nave, Unità di crisi della Farnesina, Sala Operativa del Ministero della Difesa” ci risponde Giuseppe Lenzi, generale ( della riserva) dell’Aeronautica Militare, quando gli domandiamo un commento sulla vicenda marò, a partire dai suoi albori, da quei colpi di fucile che hanno cambiato la vita di Massimiliano Latorre e Salvatore Grone. Brigadiere generale dei paracadutisti dell’AM (Ufficiale del glorioso 9^ Stormo, nda), laureato in economia, giurisprudenza e scienze politiche, docente dell’Accademia Aeronautica di Pozzuoli (NA), Lenzi ha educato gli allievi piloti al Diritto pubblico, costituzionale, marittimo e internazionale. E al lancio col paracadute.

Latorre in Italia: rientro definitivo?

“Niente affatto. La parola d’onore per noi militari è una. Se Latorre ha dichiarato di rientrare rientrerà. A meno che ‘qualcuno’ non decida che ‘per la patologia in atto … è intrasportabile’. Ciò dilaterebbe sine die la data di rientro a Delhi. Le cose prenderebbero un altro verso. Quale ? Difficile ipotizzare oggi”.

L’India pone condizioni, ma non esprime troppe perplessità sul rientro in Patria del marò: a suo avviso Nuova Delhi cerca di uscire da un ginepraio diplomatico?

“E’ molto probabile che l’India cerchi una via d’uscita dal …ginepraio in cui si è scientemente proiettata generosamente aiutata dall’insipienza –per nulla casuale- dell’Armatore e del Comandante dalla petroliera Enrica Lexie. Sono loro – ma non solo loro- i veri originatori di questo pasticcio internazionale di nebulosa risoluzione. Personaggi del tutto inadeguati al ruolo loro affidato”.

Quale sarà la sorte di Girone?

“Girone? Attendere un processo che, volere o no, lo vede imputato di un grave reato. Non è chiara nemmeno l’imputazione. Non vi sono prove balistiche ufficiali, è sparito ( affondato) il natante, risarcite le famiglie dei poveri pescatori, contraddittorie le testimonianze, occultati numerosi atti ufficiali/ufficiosi. Che processo sarà? Nessuno lo sa!”

In Italia non manca chi, talvolta con toni sardonici, si chieda che senso abbia mandare militari in missione anti pirateria per poi vederli processati come “terroristi”. Lei come risponderebbe?

“Per il diritto nazionale ed internazionale, ogni nave che naviga gli oceani appartiene alla nazione di cui espone la bandiera. La petroliera Enrica Lexie era – al momento dell’incidente ed anche quando le fu ingiunto di far rotta verso il porto del Kerala, da dove era salpata- territorio italiano e navigava –con quasi assoluta certezza- in acque internazionali. Fuori, cioè da una qualsiasi legittima influenza delle autorità indiane. L’ordine di invertire rotta e far rientro in porto era assolutamente illegittimo sotto qualsiasi luce lo si volesse considerare. La supina obbedienza, a tale ingiunzione telegrafica, brillante esempio di codardia marittima posta in essere dai soggetti interessati, fu determinata solo e soltanto da interessi commerciali, (dell’armatore Luigi D’amato) e di carriera del comandante (Umberto Vitelli). L’uno, se avesse ignorato l’ordine (illegittimo) di rientrare in porto avrebbe “chiuso” con gli scali in India. Ed addio affari. L’altro se avesse disatteso all’ordine (purtroppo legittimo) impartito dal suo datore di lavoro, non avrebbe avuto un luminoso avvenire nella compagnia marittima. Chiariamo: l’armatore dispone dell’utilizzo della propria nave come crede; rientra, però, nella piena responsabilità del Comandante, valutate tutte le circostanze a contorno, decidere –in piena ed assoluta autonomia- se quell’ordine dall’armatore possa essere eseguito. Nel caso di specie il comandante Vitelli (omen nomen) non ha evidenziato forte coraggio nel valutare i fatti e nell’ignorare ( scientemente) che l’ordine di rientro in porto avrebbe comportato, di fatto, l’ arresto dei fucilieri. I fucilieri: non si può né si deve sottacere che i nostri valenti marò –usi alle armi ed esperti marinai- hanno commesso un’imperdonabile imprudenza scendendo dalla nave (nessuno li avrebbe mai potuti costringere a farlo) e consegnandosi alla polizia locale che aveva comunicato di volerli “interrogare in merito ad una sparatoria verificatasi in alto mare”. Lasciare la nave ha significato perdere, ipso iure, ogni guarentigia e protezione loro garantita dalla bandiera della nave e perdere lo scudo della protezione internazionale di cui godevano fino all’ultimo scalino della scaletta che li consegnava sul suolo indiano. Chi ordinò loro di scendere a terra? Non lo sapremo mai con certezza. Armatore e Comandante della nave non avevano titolo ad impartire un ordine del genere. E sarebbe destabilizzante pensare che i due marò (per l’esattezza Latorre che è il più alto in grado) abbiano potuto ottemperare ad un simile scellerato ordine. La Marina Militare? Non appare credibile. Chiunque si fosse trovato,in Italia, all’altro capo del filo (etereo) in contatto con i fucilieri ed avesse loro “consigliato/ordinato” di scendere dalla nave abbandonando –di fatto- il suolo italiano, meriterebbe, seppur ora per allora, di essere radiato dalle FFAA per ‘intelligenza col nemico’. Si è detto del ruolo della Farnesina, che era uno dei soggetti in campo in quelle ore convulse, di cui non si è mai ben compreso il ruolo e l’entità delle iniziative di quel dicastero. Se mai potessimo conoscere gli accordi allora convulsamente intercorsi tra Ministero della Difesa e Farnesina (in merito alla conduzione e risoluzione di quell’emergente vicenda legata ad una missione internazionale di protezione dalla pirateria) potremmo comprendere meglio chi è responsabile di cosa. Ma anche in tale materia ogni dubbio appare più che giustificato considerato il silente rimpallo delle responsabilità fra i due dicasteri retti, allora, dal Ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, Marchese di Palazzolo, Conte di Restenau e Cavaliere del Sacro Romano impero, Cavaliere di gran croce del Sacro militare ordine costantiniano di San Giorgio, Cavaliere dell’Ordine dell’aquila azteca (Messico) ed Ignazio La Russa”.

 Da ex Comandante di truppe sul campo, che idea si è fatto dell’intera vicenda?

“Prescindiamo dalle “truppe sul campo”. Le missioni antipirateria sono un validissimo strumento di dissuasione –militare- per scongiurare o contenere gli attacchi dei “pirati” contro il commercio e le vie di comunicazione marittima che rappresentano, oggi, un imprescindibile motivo di progresso e di civiltà. Il problema consiste nello stabilire –per gli operatori militari a bordo delle navi- chiari e semplici regole operative. Il che significa, anche, stabilire chi fa cosa nei momenti di emergenza. Tali norme rappresentato l’ABC per qualsiasi organizzazione che si rispetti. Figurarsi se non debbano costituire ‘vangelo’ per un organismo militare che opera in pericolose acque internazionali popolate da ‘pirati’ disposti a tutto. Bene! Ciò che appare evidente sia mancato, in quell’occasione, è stato proprio un chiaro ed inequivoco “protocollo” che regolasse – nel dettaglio- compiti e responsabilità di tutti i soggetti in gioco: Militari a bordo, Armatore, Comandante della nave, Unità di crisi della Farnesina, Sala Operativa del Ministero della Difesa. Tant’è che l’ottimo La Russa dopo qualche mese –dalla vicenda- si è affrettato a rivisitare le più che lacunose “regole” allora operanti. Come finirà ? Difficile una serena ipotesi. Troppi gli errori, indecenti le approssimazioni –allora-evidenziate dalle numerose autorità coinvolte negli eventi. Certamente una più attenta valutazione delle norme di “ingaggio” -che si sono poi rivelate errate o fuorvianti o di equivoca applicazione – avrebbe certamente facilitato l’adozione dei più appropriati rimedi per fronteggiare quello specifico imprevisto. Ricordiamo tutti che il ministro La Russa si precipitò a modificare la normativa vigente quando i marò erano, ormai, prigionieri di un autorità straniera. E’ apparso evidente, a chiunque abbia seguito con attenzione quegl’eventi, che, almeno in parva pars,alcuni Comandanti Militari dell’epoca, a vario livello di influenza e responsabilità, non sembra abbiano tenuto in debita considerazione portata e qualità delle “norme” disciplinati le azioni che i fucilieri avrebbero dovuto/potuto porre in essere in casi di emergenza Immagino, ovviamente, che questa mia amara, ma incontestabile, riflessione non sarà affatto condivisa dagli interessati. Sta di fatto che i mille e mille fucilieri del glorioso Battaglione S.Marco attendono, da 1158 giorni, che i loro due commilitoni, inviati in una delicata operazione di salvaguardia della marineria mercantile (sull’Enrica Lexie, gioiosamente comandata da personaggi da operetta) facciano rientro in Patria”.

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