La lettera. Perché non vanno smantellate le servitù militari in Sardegna

zonamilitareUn altro punto di vista. È quello espresso riguardo alla questione delle servitù militari che negli ultimi giorni sta monopolizzando l’agenda politica sardo. Anche il Consiglio regionale della Sardegna ha dibattuto in merito ma le voci fuori dal coro, contro la chiusura in fretta e furia delle basi militari sul territorio sardo, si contano sulle dita di una mano.

Tutto è iniziato a seguito di un incendio all’interno della base di Capo Frasca, in cui è stata colpita “una zona ricoperta da sterpaglie da rada vegetazione arborea”, fonte Aeronautica Militare. È così scattata una campagna che chiede la riduzione e il successivo smantellamento delle basi militari presenti sul territorio sardo.

Per il 13 settembre è stata convocata una manifestazione dalle forze indipendentiste. In questo appuntamento organizzato “contro l’occupazione militare e il blocco immediato di tutte le esercitazioni, comprese quelle italiane”, parteciperà anche il Partito Democratico, che indirettamente – o anche direttamente – reclamerà l’eliminazione di tutte le basi militari sul territorio sardo. Richiesta curiosa da parte di un partito nazionale (“colonialista”, come lo chiamano gli indipendentisti), che metterà in forte difficoltà il governo amico di Matteo Renzi ma soprattutto rischierà di subire forti contraccolpi sui territori interessati dalle servitù e contrari alla dismissione sbrigativa.

La proposta, che è piuttosto il tentativo di cavalcare una battaglia calda, non potrà trovare nessuna immediata soluzione. A meno che non si vogliano lasciare a casa migliaia e migliaia di persone – perché vorrei sapere chi ha in mente, e soprattutto sulla carta, un piano di riqualificazione.

“Se è vero che il 65% delle servitù militari nazionali sono in Sardegna, e che è necessario un riequilibrio, – ha dichiarato il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Paolo Truzzu – è opportuno ricordare anche che la presenza militare garantisce circa 5000 stipendi, che i 220 kmq di servitù, che impedirebbero lo sviluppo dell’isola, costituiscono lo 0,5% della superficie isolana.

L’indipendentismo sardo, che vorrebbe lasciare mamma Italia per auto-governarci, sta guadagnando terreno, ma per chi si sente italiano, e badate bene, non sono – siamo – pochi, c’è anche un’altra piccola questione: la difesa nazionale. Non è di poco conto e la si sottovaluta. Davvero si pensa che i poligoni di addestramento siano dei tiri al piattello fini a se stessi e utili esclusivamente al divertimento di omuncoli in divisa? Davvero non si riesce a scorgere un ultimo tentativo di dare dignità a un settore, quello militare, messo alle strette da una politica disinteressata e confusa? Davvero pensiamo che ritirare fuori la bandiera della pace, chiudere le basi militari, condannare armi ed eserciti sia una buona idea oggi, nel 2014, mentre l’Occidente è nella fase più critica degli ultimi vent’anni?

Sardegna, faro del Mediterraneo (magari) è davvero al centro di tutto. Di un’Europa debole, che chiedevamo “libera, armata, indipendente”, schiacciata tra Stati Uniti, nettamente più deboli rispetto ad anni fa – ma pur sempre gli Stati Uniti! -, e Russia, pronta a spingere al sud e a ovest? E le primavere arabe, che spingono sulle nostre coste poveri disgraziati che fuggono da territorio in cui la bellezza della democrazia sarebbe dovuta risplendere e che invece ha conosciuto solo il freddo autunno del caos mortale? E vogliamo tralasciare il fondamentalismo islamico che cresce nelle nostre città e rischia di destabilizzare il continente? Insomma, non mi pare il caso di darci la zappa sui piedi da soli indebolendo la nostra difesa.

Per carità, si può discutere tutto, ma con serietà. Anche una riduzione degli ettari affidati alle basi militari, ma con numeri alla mano, idee precise, obiettivi realizzabili. Chiudere oggi Capo Frasca significherebbe, per esempio, rendere inutile l’aeroporto militare di Decimomannu – Villasor. Nato agli inizi della seconda guerra mondiale fu indispensabile per monitorare l’area anglo-francese, per poi passare all’esercito statunitense a seguito del tristemente noto Armistizio di Cassibile. Perse la sua importanza a seguito della fine della guerra, con un’Italia vinta e debole, e diventò Centro Addestramento al Tiro nel 1957, con un accordo tra Italia, Canada e Germania ovest. Attualmente è usato principalmente da forze italiane e tedesche, ha circa 60mila movimenti all’anno, e ha il duplice compito di difesa aerea nazionale e direzione traffico aereo, civile e militare.

La chiusura eventuale di Capo Frasca determinerebbe appunto quella della Base di Decimomannu – Villasor. Delizia per chi vuole una dismissione sbrigativa, croce per chi ci lavora, per chi crede nella difesa nazionale, per chi crede che la gazzosa duri sempre poco e la politica seria debba guardare oltre. A proposito di numeri, ricollegando il discorso alle ripercussioni sul territorio, che un politico non può e non deve sottostimare: “[…] l’area aeroportuale del demanio è di 556 ettari, pari al 6,42 per cento del territorio municipale, mentre quella sottoposta a servitù militari è di 1000 ettari, pari all’11,55 per cento dello stesso territorio; il totale è del 17, 97 per cento dell’intero territorio comunale. La realizzazione dell’ipotesi prospettata dal presidente Soru imporrebbe immediate ricadute economiche, perché la chiusura di Capo Frasca avrebbe una serie di ripercussioni occupazionali sul territorio. […]”

L’intervento è del sindaco di Villasor nel 2007 in audizione presso la Commissione Difesa (Presidente di Commissione, ironia della sorte, era Roberta Pinotti). L’allora Presidente Soru paventava la chiusura della base di Capo Frasca, come già detto e avventuto con lo smantellamento di quella di La Maddalena, e oggi si vedono i pessimi risultati di quella scelta frettolosa e priva di programmazione.
L’articolo integrale su www.facebook.com/Mic.Pisano

*Consigliere Comunale di Quartu Sant’Elena e dirigente regionale di FDI

Michele Pisano*

Michele Pisano* su Barbadillo.it

Exit mobile version