Elezioni Figc. Tavecchio e le banane: date il Daspo a lui. Non agli Ultras

Schermata 2014-07-26 a 15.21.04Il calcio che chiude le curve degli stadi per uno sfottò contro i napoletani potrebbe essere governato da Carlo Tavecchio, manager del pallone che si è presentato al mondo associando gli africani alle banane, come il meno fantasioso dei razzisti. Curioso: nell’ultima stagione di Serie A, i cancelli di curva sud dell’Olimpico di Roma sono rimasti con i lucchetti ben saldi perché i tifosi giallorossi avevano intonato cori, considerati a sfondo razziale (sic!), del tipo “Noi non siamo napoletani”. Stessa sorte è capitata a juventini e interisti: migliaia di tifosi italiani sono stati costretti a vedere le partite della propria squadra in tv perché il calcio rifiuta il razzismo e se prendi per il culo i tuoi avversari non puoi proprio entrare allo stadio.

Provvedimenti autoritari, decisioni amministrative e non di giustizia, che hanno costretto i legittimi titolari di biglietti (e abbonamenti) a lasciare i loro ticket nei cassetti e godersi lo spettacolo in triste solitudine. A casa. Per salvare la faccia il governo del calcio italiano, durante la stagione appena conclusa, ha preferito punirne a migliaia per educare i pochissimi che avevano effettivamente intonato quei cori, alla faccia della responsabilità penale (amministrativa, in questo caso) individuale, alla libertà d’espressione, ma soprattutto in barba alla goliardia che è il sangue vivo del tifo. Per non parlare, poi, del fatto che quei cori, quelle parole, fanno parte da sempre (o almeno da che io ne abbia memoria) del mondo del calcio italiano: tutti i tifosi sanno che ci si deride a botte di cori e che “vince” chi a fine partita ha ancora fiato per cantare, ridere, sfottere etc…

«Questi insulti sono inconciliabili con i valori dello sport», dicevano i boss del calcio. Va bene, forse è anche vero, ma chiudere interi settori dello stadio è sempre sembrato a tutti qualcosa di eccessivo. Un abuso che serviva solo a tenere a bada i tifosi; i temibili ultras. Ma che succede oggi che Tavecchio, candidato superfavorito alla presidenza della Figc, definisce un ipotetico Optì Pobà un mangiabanane? Se insieme a Tavecchio l’avessero detto altre cinquemila persone, c’è da scommetterci, il giudice sportivo avrebbe vietato al gruppetto qualsiasi libertà espressione per un paio di giornate, almeno. Ma per fortuna Tavecchio ha detto quella frase dal pulpito, mentre presentava la sua candidatura alla guida della Federazione Italiana Gioco Calcio; quindi tutto è salvo.

Nel Paese del Daspo e della giustizia sommaria, dove le Questure si ergono a Tribunali e i superpoliziotti diventano giudici, l’11 agosto potrebbe diventare capo del calcio uno che ha dovuto giustificare con un «ogni tanto mi scappa» una sua frase pesantemente razzista. Il caso sa essere molto gustoso perché pensate cosa accadrebbe se, poche settimane dopo la sua elezione, alla prima di campionato, tutte le curve italiane dovessero esporre uno striscione inneggiante a Optì Pobà, il mangiabanane. Tavecchio potrebbe essere costretto a chiudere le curve fin dall’inizio o a chiedere Daspo a destra e a manca contro i tifosi, cattivi, ignoranti e violenti, che hanno inneggiato al suo calciatore immaginario.

E allora, per evitare alle varie Leghe di categoria di dover risolvere una situazione molto ingarbugliata, si potrebbe chiedere il Daspo fin da subito, non preventivo: per Carlo Tavecchio. Si potrebbe usare per lui, insomma, una versione soft di quello che subiscono i tifosi negli stadi ogni domenica: divieto di esporre striscioni, di accendere fumogeni, indossare magliette e di intonare cori che non piacciono al bon ton. Il candidato presidente potrebbe vedere com’è dover restare a casa la domenica e potrebbe riflettere sia sulla sua frase infelice sia sulla condizione di migliaia di tifosi puniti senza potersi difendere nel merito. Sarebbe esperimento interessante, così poi Tavecchio potrebbe tornare e risollevare davvero il calcio. Solo dopo aver trascorso i suoi mesi di squalifica.

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Archie Gemmill

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