Non ci credete? Eppure il vate della Daunia ha condotto a un’insperata salvezza la sgangherata Longobarda, anni fa. Contro tutto e tutti. Volete che non sia capace, adesso, di far rifiorire quel bouquet di Crisantemi che è diventata oggi la Nazionale? Lanciò nel calcio internazionale Aristoteles, senza aver paura di sfidare il risentimento della piazza ( e della proprietà…) che voleva in campo a tutti i costi la ‘bandiera’ Speroni, quello che se la faceva con la presidentessa. Sarebbe l’uomo giusto, Canà, per sbattere in panchina a giocare con Twitter la superstar Balotelli, alla faccia di tutti i presidenti Borlotti che popolano l’oscuro mondo della politica pallonara italiana. Ormai l’ha capito, Oronzo, che da loro non c’è da aspettarsi Maradona, Rummenigge o Platini. Oggi più che mai dato che, avendo preso (più o meno) posizione contro Blatter, sono diventati gli amabilissimi nemici numero uno del dittatorello Fifa. E quindi nemici nostri, che da patria tradizione, i poteri italiani ci schierano sempre con i vincenti.
Pure con la stampa, la ‘grande’ stampa, cambierebbe tutto. Prandelli attingeva a piene mani dalle indicazioni dei compiaciuti luminari dei giornalini sportivi e non. Oronzo Canà non rinuncerebbe mai alla sua Bi-zona: “Cos’è la zona per tornare in serie B?”, gli chiese in quegli anni fantastici l’inviato della Gazzetta con la pipa in bocca. “Bi-zona significa due volte zona. Come se a lei dicessi bistrò, che non è un locale francese ma due volte stronzo”.
Vogliamo parlare dei rapporti con gli sponsor? Al Pastificio Mosciarelli glielo avrà detto cento volte che faceva la pasta schifosa. Lui e la moglie. Quindi tipo da sottostare ai ricatti non è. E fermiamoci qui.
Dal punto di vista tattico è cresciuto, Canà. Aveva l’ossessione del barone Liedholm. Come Prandelli l’aveva del tiquitaca spagnoleggiante. Ora gli è passata. Anzi gli passò a metà campionato di tanti anni fa: “Paragone tra noi e il Milan? Azzardato, sarebbe come confrontare un Jaguar con un tram a cavalli”.
Rapporti con lo spogliatoio. Ritiro e blandizie. “Ti faccio un culo così”, per motivare, senza urtarne la suscettibile sensibilità, il centrocampista che si tira la gambina indietro. Ricambio generazionale? Non avrebbe mai venduto i gioiellini Falchetti e Mengoni, alla Longobarda, di sicuro li metterebbe titolari fissi in azzurro. Senza l’incubo di incappare nella metà del cartellino di Daniele Piombi e nella comproprietà di Pippo Baudo nella beata speranza di trovarsi in squadra qualche campione finalmente compiuto e stabilizzato che ha deciso di fare un lavoro vero del suo talento.
Prandelli se n’è andato e non ritorna più. Rifondare il calcio bisogna, partendo dal fallimento del progetto del don Abbondio azzurro. Che non è solo tecnico-tattico, ma comprende fin troppe corbellerie benpensanti e moraliste, codici etici e bimbi, bimbi, tanti bimbi. Torme di propagandistici bimbi, eserciti di pargoli innocenti da indottrinare. La Gioventù Prandelliana: insopportabili, odiosi bimbi da avvicinare a tutti i costi allo sport preteso corretto e pulito. Ora basta con i moralisti del pallone, ci vogliono uomini di calcio dalla scorza dura, incapaci di inginocchiarsi alle urla della piazza e ai suggerimenti dell’aristocrazia, gente con gli attributi al posto giusto e, perché no?, una sana dose di folle sfrontatezza per affrontare le mille fesserie e le centinaia di arroganze di calciatori, società, federazione e sponsor.
Allegri non va bene, meglio un qualsiasi Oronzo Canà. Che per altro, almeno un catenaccio lo saprebbe fare…