Azzurro Mondiale. Il renziano Prandelli rottama il suo povero credo l’Italia e il coraggio

Dal sito della Figc
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Forse adesso anche i cantori del buonismo di matrice renziana si saranno accorti dei limiti dell’allenatore rottamatore che pochi minuti dopo il fischio finale ha fatto l’unico gesto possibile: dimettersi. Già, perché la cocente sconfitta degli azzurri con l’Uruguay avrà pure tanti padri ma uno di sicuro è Cesare Prandelli. Un fallimento emblematico di un modello fatto di tante chiacchiere e pochi fatti, annunci di rivoluzioni etiche (in teoria) e catenaccio democristiano (in pratica), facce pulite e tanto, tanto “volemose bene”.

Cesare di nome ma non di fatto è andato alla sua guerra punica con la Celeste portandosi dietro timori da collegiale. Inutile recriminare per il morso del Pistolero Suarez o per l’espulsione di Marchisio, e neppure per le due gare con Costa Rica e Uruguay giocate alle 13, dimenticandosi che anche gli avversari diretti giocavano allo stesso orario e con la stessa temperatura. L’eliminazione degli azzurri è figlia dell’italico vizio di cercare di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Possibile, quando hai campioni in campo. Difficile, se Pirlo e Buffon sono gli unici fenomeni. Impossibile se metti in campo Parolo e non Cerci, pensando al “tengo risultato” e sperando che gli altri continuino a sbattere contro una linea Maginot targata Juve.

«Mi assumo tutte le responsabilità del progetto tecnico», dice a caldo Prandelli.  Ma poi il ct non resiste alla tentazione di aggrapparsi all’arbitraggio. Come dire che il Governo non fa le riforme perché nel Pd prevalgono le antiche logiche della “ditta”. «Assurdo rimanere in dieci in una partita come questa. Non ci sono stati falli cattivi o da espulsione. Non si può condizionare così una gara, l’arbitro ha rovinato la partita». Fuffa in salsa rottamatrice. Con la Costa Rica bisognava osare e chiudere il conto dopo l’insperata e speranzosa vittoria sugli inglesi. Invece il tecnico bresciano ha preferito non rischiare. Chi non risica non rosica. Al massimo ora si può rosicare.

Prandelli, subito dopo la sconfitta, ha preso tempo sul futuro. «Adesso facciamo delle riflessioni, poi vediamo». E non è detto che tardino ad arrivare, le dimissioni del commissario tecnico. A riflettere, intanto, si è già perso troppo tempo. Tante parole, ma le chiacchiere stanno a zero. L’Italia se ne torna a casa dopo l’ennesima illusione (l’Inghilterra), uno scioccante ritorno alla realtà (Costa Rica) e l’amara constatazione dei limiti di chi ha dimenticato di puntare su talento e coraggio (Uruguay). Scegliendo un vecchio – dal ritorno al modulo 3-5-2 stile Juventus all’esasperante logica catenacciara per giunta mal interpretata, dalle esclusioni di attaccanti veri come Giuseppe Rossi al codice etico a fasi alterne – rivestito di nuovo. Grazie all’appeal mediatico e buonista dei tanti Renzi improvvisati capaci di vendere un set di pentole a Roberto da Crema. Rottamazione docet: i rottamati, un attimo prima, diventano rottamatori. Per riciclarsi meglio.

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Mario De Fazio

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