Chiesa. Le “amanti” dei preti scrivono al Papa: “Amiamo questi uomini”

uccelli di rovo«Caro Papa Francesco, siamo un gruppo di donne da tutte le parti d’Italia (e non solo) che ti scrive per rompere il muro di silenzio e indifferenza con cui ci scontriamo ogni giorno. Ognuna di noi sta vivendo, ha vissuto o vorrebbe vivere una relazione d’amore con un sacerdote, di cui è innamorata».  Questa la supplica al romano Pontefice di 26 donne che affermano di vivere relazioni sentimentali con dei preti. Tecnicamente delle concubine. Un fulmine a ciel sereno. Un caso che farà discutere. Anche per l’opportunità di una iniziativa carica – per lo meno – di contraddizioni, travisamenti e pruriti.

A intercettare la lettera il portale Vatican Insider. Lo scoop è di Andrea Tornielli. Le donne si firmano con il solo nome di battesimo, più l’iniziale del cognome o la città di provenienza. Nel corredo anche i numeri di telefono. Con tutta evidenza si spera che Francesco possa alzare la cornetta e chiamare. Qualcuna (non solo loro) vorrebbe che il Papa rivedesse le norme canoniche sul celibato dei presbiteri. Una soluzione che aprirebbe le porte, sì, delle chiese, ma per degli improbabili matrimoni riparatori.

«Noi amiamo questi uomini, loro amano noi – scrivono le 26 donne –  e il più delle volte non si riesce pur con tutta la volontà possibile, a recidere un legame così solido e bello, che porta con se purtroppo tutto il dolore del “non pienamente vissuto”. Una continua altalena di “tira e molla” che dilaniano l’anima. Quando, straziati da tanto dolore, si decide per un allontanamento definitivo, le conseguenze non sono meno devastanti e spesso resta una cicatrice a vita per entrambi. Le alternative sono l’abbandono del sacerdozio o la persistenza a vita di una relazione segreta».

E ancora: «Come tu ben sai – scrivono le donne con una tonalità fin troppo colloquiale – sono state usate tantissime parole da chi si pone a favore del celibato opzionale, ma forse ben poco si conosce della devastante sofferenza a cui è soggetta una donna che vive con un prete la forte esperienza dell’innamoramento. Vogliamo, con umiltà, porre ai tuoi piedi la nostra sofferenza affinché qualcosa possa cambiare non solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa».

Per quanto il Papa si sia più volte espresso in favore delle istanze di chi soffre, su questo tema non sembra che Francesco sia disponibile a soluzioni arbitrarie. Parlando con il rabbino Abraham Skorka  ha infatti spiegato: «Se uno viene da me e mi dice che ha messo incinta una donna, io lo ascolto, cerco di tranquillizzarlo e poco a poco gli faccio capire che il diritto naturale viene prima del suo diritto in quanto prete. Di conseguenza deve lasciare il ministero e farsi carico del figlio, anche nel caso decida di non sposare la donna. Perché come quel bambino ha diritto ad avere una madre, ha anche diritto ad avere un padre con un volto. Io mi impegno a regolarizzare tutti i suoi documenti a Roma, ma lui deve lasciare tutto. Ora, se un prete mi dice che si è lasciato trascinare dalla passione, che ha commesso un errore, lo aiuto a correggersi. Ci sono preti che si correggono, altri no. Alcuni purtroppo non vengono nemmeno a dirlo al vescovo».

Correggersi, nel lessico di Bergoglio, significa dunque «fare penitenza, rispettare il celibato. La doppia vita – ammonisce il Papa –  non ci fa bene, non mi piace, significa dare sostanza alla falsità. A volte dico loro: “Se non sei in grado di sopportarlo, prendi una decisione”». Al di la della questione teologica  e canonica, e andando oltre – ancora – alla storia di una prassi ecclesiale assai complessa, c’è da sottolineare un principio, che in questa missiva è a dir poco calpestato: il rispetto di una promessa, di un ruolo. Un prete, appunto perché uomo, deve onorare un abito e un giuramento. Aut aut, dunque. Su questa linea Francesco sembra assai irremovibile. E a ragione, pure.

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Fernando Massimo Adonia

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