I partiti celebrano Scalfaro, protagonista non super partes della crisi del Sistema Italia

Con Oscar Luigi Scalfaro scompare uno dei presidenti più controversi della storia repubblicana. Qualche schizzo di fango lo aveva rimediato da magistrato nella guerra civile, poi militò senza infamia e senza lode nella Democrazia cristiana. E questo, nella Balena bianca, era un titolo di merito. Al punto che, dopo esser stato ministro dell’Interno e presidente della Camera, quando le guerre fratricide tra De Mita e Forlani dovettero cessare per dare una risposta all’Italia straziata dalla tragica morte di Giovanni Falcone, “Ostia” Luigi aveva il curriculum perfetto per salire al Colle, votato da una maggioranza di centrosinistra.

La sinistra lo incensa perché demolì in nome della partitocrazia e di un obsoleto patriottismo costituzionale il bipolarismo nascente intorno all’asse Fi-Msi/An-Lega, favorendo il governo tecnico ribaltonista guidato da Lamberto Dini. Ma il centrodestra sopravvisse alle trame di Palazzo. La destra gli rimprovera responsabilità nelle fucilazioni sommarie del dopoguerra e una sorta di indulgenza nei confronti della magistratura che iniziava a randellare il Cavaliere.

Fuori dalle ragioni di propaganda, resta l’uomo politico, un conservatore non immune da un certo bigottismo nella prima repubblica che divenne uomo di centrosinistra nella seconda, senza mai brillare come simbolo dell’unità nazionale, merito invece che viene riconosciuto ai suoi successori. Affiancato dalla figlia Marianna interpretò non da arbitro imparziale il ruolo e i poteri che gli conferiva la Carta.

Sullo sfondo resta la crisi della politica e dei partiti che Scalfaro contribuì a delegittimare,  con i primi governi tecnici degli anni novanta, precedenti illustri dell’esecutivo Monti. Il governo del Preside è l’epifonema di un sistema funzionale ad anestetizzare ogni pulsione sovranista lungo lo Stivale.

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