Nelle pagine dell’ultimo numero di Technology Rewiew edizione italiana diretta da Gian Piero Jacobelli si legge un lungo e argomentato resoconto su Wikipedia a firma di Tom Simonite, caporedattore per l’informatica della edisione americana del MIT Technology Rewiew. Tra i tanti dettagli di rilievo, mi pare emergano due punti di criticità. La vertigionosa crescita di questa enciclopedia unica nel mondo continua quanto a numero di voci ma si arresta ed anzi regredisce quanto a numero di collaboratori volontari.
Le ragioni sembrano essere dovute ad una pesante serie di procedure burocratiche di controllo (contro vandalismi e cattiva qualità dei contributi) che hanno l’effetto di scoraggiare la libera partecipazione. Si tratta insomma di milioni di voci che, nonostante la complessa macchina di chi tenta di governarla democraticamente, stentano a essere ordinate a misura dell’utopia con cui Wikipedia è nata. Ma quanto a questo, anche nel suo mondo presumibilmente altruista e disinteressato sembra che i dispositivi della democrazia mostrino tutti i loro difetti.
Si potrebbe dire tuttavia che la burocrazia di Wikipedia sia partecipata (un paradosso da cui altre burocrazie potrebbero trarre qualche indicazione?) e dunque non manchino tentativi di riparare agli errori (anche se con deliberazioni che vengono più dall’alto che dal basso). Da quanto scrive Simonite mi pare però che emerga ed anzi si aggravi qualche meccanismo per così dire “automatico” che riproduce dentro i contenuti delle singole voci gli stessi squilibri di potere del sistema/mondo (ideologie, costumi, abitudini, pregiudizi, mistificazioni). Ad esempio, l’ingombro e la tracotanza del punto di vista maschile/maschilista sul sapere e sulla vita di tutti. E molte altre resistenze al mutamento antimoderno. Infine, altre questioni problematiche vengono indicate in merito alla maggiore qualità e precisione delle voci tecno-scientifiche rispetto a quelle umanistiche.
Calibrare bene il rapporto tra scienze naturali e scienze umane sarà sempre più importante: una questione di sopravvivenza. Obiettivo che non pare essere nell’agenda delle istituzioni e dei partiti a meno che non si voglia continuare a credere alle loro forme di propaganda ideologica. Ad una crisi finanziaria fuori misura come quella presente corrispondono strategie di governo economiche e amministrative sempre più affidate alla violenza dei rapporti di potere locali e globali; sempre più dominate dal pensiero strumentale della tradizione moderna. La vitalità delle scienze umane e dei suoi apparati di formazione si è congelata e, costretta a ritirarsi in se stessa, si è dispersa, spenta. Ma per sapere dirigere un processo e governarlo il tecnico o lo scienziato o l’economista ha bisogno di cultura e non soltanto della propria specializzazione disciplinare, ha bisogno di una vocazione e non solo di una professione, deve interpretare il mondo prima di riprodurlo. Ed invece l’unica dimensione culturale in grado di alimentare ceti sociali dotati di capacità politiche adeguate alla drammaticità di tale crisi è stata emarginata e al contempo si è emarginata. Ho più volte insistito sulla crisi dell’Università. Così il sapere umanistico non serve più a soddisfare i vecchi regimi di senso e tanto meno a sintonizzarsi sui nuovi. Dunque stiamo attraversando una congiuntura unica nella storia della civiltà occidentale: l’umanesimo non serve più alle scienze umane e al suo posto andrebbero negoziati i valori di un sapere in grado di liquidare i miti del progresso, dell’uomo e della civilizzazione. E di liberarsi della falsa coscienza del soggetto moderno.
Cosa c’entra Wikipedia? C’entra e come! Infatti se è vero che essa costituisce un serbatoio di informazioni su ogni disciplina e evento della storia, e se è vero che questo suo immane serbatoio di dati è alimentato da contenuti incapaci di riequilibrare i campi della scienza e della cultura nel senso di cui ho detto sopra, e infine se è vero che gli effetti della sua macchina sapienziale sono e saranno ben difficilmente rintracciabili e valutabili, allora Wikipedia porta in se stessa un rischio epocale fuori controllo, grande quanto gigantesca è la sua quotidiana presenza in un numero sempre più vasto di persone e di contatti. Wikipedia, pur concepita come enciclopedia viva e cioè sempre modificabile e perfettibile, resta comunque all’interno della tradizionale idea di enciclopedia, di un testo universale all’autorità del quale dovere attingere per sapere. Un testo non più chiuso ma aperto, certo (almeno nelle intenzioni), ma in quanto questa sua apertura serve per conservare reputazione in tempi di deregolamentazione come quelli della società post-moderna.
Possiamo allora sostenere che proprio le pratiche online più o meno individuali o relazionali, quelle ultimamente dai più individuate come territori invasi dai grandi poteri economici e politici globali – da Google e Facebook e ad ogni altra diavoleria personalissima seppure autodiretta o eterodiretta – funzionino al di là del bene e del male del sapere tradizionale e lo facciano con una qualche maggiore trasparenza rispetto a Wikipedia? E qualche maggiore possibilità di dare luogo a forme culturali più sensibili alla catastrofe di valori del presente? (dal blog personale del sociologo Alberto Abruzzese)